IL PARTICOLATO ATMOSFERICO |
Si definisce inquinante atmosferico qualunque sostanza, di origine antropica o naturale, presente in atmosfera in concentrazioni tali da avere effetti negativi sull?uomo, le cose o l?ambiente. Gli inquinanti atmosferici possono essere solidi, liquidi o gassosi e comprendono il cosiddetto particolato. Per particolato atmosferico1 (Particulate Matter, PM) si intende un insieme di particelle che hanno caratteristiche fisiche e chimico-fisiche (dimensione, forma, composizione, densità, stato fisico) tali da consentire la loro sospensione in atmosfera per lunghi periodi (ore, giorni o anni) e che conservano le proprie caratteristiche per tempi tali da permettere la partecipazione a processi fisici e/o chimici come entità a sé stanti.
Questa definizione comprende un insieme eterogeneo di particelle, con caratteristiche generalmente molto diverse da particella a particella, la cui composizione può essere differente a seconda dell?ambiente di provenienza (es. città o campagna), del periodo dell?anno (mesi caldi o mesi freddi), delle fonti (traffico autoveicolare, riscaldamento, emissioni industriali o agricole, particelle di suolo erose e trasportate dal vento) e può cambiare nel tempo. Da ciò si deduce che, tra i componenti dell?atmosfera, il particolato è unico nella sua complessità. Presente anche nell’alta atmosfera Il particolato è molto concentrato nella bassa atmosfera vicino alla sua sorgente primaria, la superficie terrestre. Tuttavia, neanche l?alta atmosfera è libera da queste particelle, poiché le correnti d?aria ascendenti possono trasportarle fino a grandi altezze. Da un punto di vista meteorologico, queste minuscole particelle possono essere importanti. Infatti, molte agiscono come superficie sulla quale il vapor d?acqua può condensare, un passaggio importante per la formazione di nubi e nebbia. Inoltre, possono assorbire o riflettere la radiazione solare; così, quando avviene un episodio di intenso inquinamento dell?aria o quando le ceneri di un?eruzione vulcanica riempiono il cielo, la quantità di raggi solari che raggiunge la superficie terrestre può venire notevolmente ridotta. La classificazione dimensionale del particolato atmosferico fa riferimento ad un parametro, detto diametro aerodinamico equivalente (dae), definito come il diametro di una particella sferica avente densità unitaria (1 g cm?3) e un comportamento aerodinamico uguale (ad esempio stessa velocità di sedimentazione) a quello della particella considerata, nelle stesse condizioni di temperatura, pressione e umidità relativa. Il concetto di diametro aerodinamico equivalente è utile ai fini della classificazione del particolato in categorie. In tal senso si può ricorrere ai seguenti termini: PTS (particelle totali sospese): sono le particelle di dimensioni tali da restare in sospensione per un tempo sufficiente ad essere campionate con un sistema di campionamento rispondente a specifiche caratteristiche geometriche in relazione a determinati flussi di prelievo. In pratica sono le particelle con diametro aerodinamico inferiore a 100 µm. PM10: è la frazione di particolato raccolta da un sistema di campionamento tale per cui le particelle con diametro aerodinamico uguale a 10 µm sono campionate con efficienza del 50%. PM2,5: è la frazione di particolato raccolta da uno specifico sistema di campionamento tale per cui le particelle con diametro aerodinamico uguale a 2,5 µm sono campionate con efficienza del 50%. È convenzione suddividere il particolato atmosferico in funzione del diametro aerodinamico nelle seguenti frazioni: coarse (grossolana): diametro aerodinamico compreso tra 2,5 e 10 µm; fine (sottile): diametro aerodinamico inferiore a 2,5 µm; superfine (ultra-sottile): diametro aerodinamico inferiore a 0,1 µm. Le particelle fini con dae < 1 µm hanno una concentrazione in atmosfera compresa tra 10 e 10.000 pp cm?3 (pp = particelle), mentre quelle che superano 1 µm di diametro hanno un concentrazione minore di 10 pp cm?3. Le particelle con dae < 2,5 µm rappresentano numericamente oltre il 95% delle particelle totali. Le particelle di dimensioni maggiori (in particolare con dae tra 5 e 50 µm), essendo più pesanti, spiegano la maggior parte della massa del particolato in ambiente urbano. Ad esempio, a Milano il rapporto tra PM2,5 e PM10 è in media 60% e nel 2005 è salito a circa 80%. 1. Spesso il termine particolato è usato come sinonimo di aerosol; gli aerosol sono una sospensione di materiale solido o liquido (con bassa velocità di deposizione) in un mezzo gassoso (nel nostro caso l?aria). In questo contesto, la differenza tra i due termini riguarda l?acqua, che non viene considerata quando si parla di particolato. |
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DA COSA È PRODOTTO |
Il particolato (così come gli inquinanti in genere) può essere distinto in due categorie: primaria e secondaria. Il particolato primario è emesso in atmosfera direttamente nella sua forma finale da sorgenti identificabili. Esso sarà dunque molto concentrato nell?aria immediatamente circostante il suo punto di emissione. Al contrario, il particolato secondario è prodotto in atmosfera in seguito a reazioni chimiche tra inquinanti primari. Le sorgenti di aerosol in atmosfera sono comunemente riunite sotto due grandi gruppi: Sorgenti naturali, sono ad esempio particelle di suolo erose e sollevate o risospese dal vento, spray marini, ceneri vulcaniche, materiale organico derivante da incendi di foreste, pollini, spore, etc; sorgenti antropiche, sono legate principalmente all?uso di combustibili fossili (produzione di energia, riscaldamento, mezzi di trasporto, etc.), ad attività industriali (raffinerie, processi chimici, operazioni minerarie, etc.) e allo smaltimento di rifiuti (inceneritori). Si ritiene che le particelle grossolane siano introdotte nell?ambiente soprattutto a causa di fenomeni naturali, mentre quelle più fini derivino per lo più dalle attività antropiche. A livello globale, le masse di particolato prodotte per cause naturali sono preponderanti rispetto a quelle prodotte dalle attività umane. Tuttavia le sorgenti antropiche sono in grado di immettere in atmosfera una maggior quantità di particelle contenenti sostanze tossicologicamente rilevanti per la salute e per l?ambiente. Un?altra caratteristica tipica delle sorgenti antropiche è la tendenza alla concentrazione spaziale, che rende alcune zone maggiormente a rischio rispetto ad altre; ne sono un tipico esempio i centri urbani e industriali. Molti studi provano infatti che la concentrazione tipica di particelle antropogeniche presente in un?atmosfera urbana può rappresentare un serio rischio per la salute dell?uomo (Sesana et al.; Raes et al., 1999). Alla luce di queste evidenze assumono rilevanza considerevole il monitoraggio e la caratterizzazione di tali zone e la quantificazione del contributo dato da ciascuna sorgente, al fine di individuare provvedimenti specifici di controllo e mitigazione o di politica ambientale per uno sviluppo sostenibile. È importante notare che sebbene un composto (gassoso o particolato) sia raccolto da una gocciolina d?acqua, non sarà tuttavia rimosso dall?aria se la gocciolina evapora piuttosto che precipitare al suolo. La deposizione secca è il meccanismo predominante di rimozione delle particelle che si trovano vicino al suolo, mentre ad altezze superiori a 100 m prevale lo scavenging operato dalle precipitazioni. Le particelle più grosse (dae > 1 µm) subiscono più frequentemente sedimentazione, mentre le particelle con dae < 1 µm sono rimosse più facilmente per diffusione verso la superficie terrestre, principalmente attraverso un processo di deposizione umida in seguito ad attivazione nelle nuvole e successiva precipitazione. A differenza dell’aerosol, un composto può essere eliminato dall’atmosfera mediante i processi di deposizione appena descritti, oppure in seguito a reazioni chimiche. In particolare, tra i numerosi fenomeni fisico-chimici un ruolo predominante è rivestito dai processi fotochimici, che in determinate circostanze possono portare alla formazione del cosiddetto smog fotochimico, caratterizzato dall’elevata produzione di inquinanti secondari come O3, HNO3, composti organici derivati (es. PAN), composti in fase particolata (es. nitrati, solfati). Le reazioni fotochimiche innescate dalla luce danno origine ad una molteplicità di sostanze organiche; molte di queste vengono successivamente adsorbite sulla superficie dell’aerosol, influenzando quindi le caratteristiche chimico-fisiche del particolato stesso. La conoscenza della composizione chimica del particolato atmosferico è importante al fine di identificare le diverse fonti che hanno contribuito alla sua formazione e di comprendere i suoi possibili effetti sull?ambiente e sulla salute umana. Diversi studi sulla composizione chimica delle particelle hanno evidenziato una differenza generale tra particelle grossolane (dae > 2,5 µm) e fini (dae < 2,5 µm). Esempio di composizione chimica media del PM10 e del PM2,5 a Milano (Liverta, 2002). |
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COME È COMPOSTO L’AEROSOL |
Le particelle di aerosol atmosferico contengono solfati, nitrati, ammonio, materiali organici, specie crostali, sale marino, ioni idrogeno e acqua. Di queste specie, il solfato, l’ammonio, il carbonio organico e alcuni metalli di transizione predominano nelle particelle fini (vedi figura), che sono legate principalmente a fonti secondarie (reazioni chimiche che convertono i vapori e i gas atmosferici in fase condensata liquida e/o solida). Tuttavia, nella frazione fine esistono anche composti di origine primaria, come il carbonio elementare, alcuni metalli e gli IPA. L’emissione primaria da combustione ad esempio crea particelle che in origine sono submicrometriche. Al contrario, i materiali crostali (Si, Ca, Mg, Al, Fe,…) e le particelle organiche biogeniche (polline, spore, frammenti di piante) fanno parte solitamente della frazione grossolana, che deriva da fonti primarie, ovvero da emissione diretta in atmosfera.
Gli ioni inorganici solubili in acqua costituiscono uno dei maggiori componenti degli aerosol atmosferici. In questa occasione sono stati analizzati alcuni di questi: Ione solfato SO42+ In fase gassosa omogenea l’SO2 può ossidare ad acido solforico H2SO4; la via più importante è rappresentata dalla reazione con il radicale OH·(Kouimtzis, 1995): SO2 + OH·+ M ? HOSO2 + M(2.1)
HOSO2 + O2 ? HO2 + SO3(2.2)
(M è una specie chimica neutra che agisce come catalizzatore, permettendo alla reazione di avvenire senza essere essa stessa consumata nel processo). A conferma dell’importanza delle reazioni in fase acquosa è stato riscontrato che significative quantità di solfato vengono prodotte in nubi e nebbie in ambienti differenti. Durante la formazione della nube, gli aerosol che fungono da nuclei di condensazione vengono attivati e crescono liberamente per diffusione del vapore su di essi. I gas solubili, come l?acido nitrico, l?ammoniaca e il diossido di zolfo, si disciolgono nelle goccioline. Ione nitrato NO3? NO3 + RH·? HNO3 + R(2.10)
N2O5 + H2O ? 2 HNO3 (2.11)
Le reazioni con il radicale nitrato e l’anidride nitrica possono avvenire sia in fase gassosa sia in fase acquosa, grazie all’elevata solubilità dei due composti. La reazione che coinvolge il radicale nitrato, però, si realizza solo di notte, poiché durante il giorno NO3·fotolizza rapidamente. Normalmente, le reazioni più importanti per la produzione di nitrato sono quella tra NO2 e OH·in fase gassosa di giorno e quella di NO3·in fase eterogenea di notte. L?NO3 è convertito a nitrato anche dallo ione cloruro: NO3·+ Cl? ? NO3?+ Cl·(aq)(2.12)
producendo il radicale cloro. In ambienti con basse concentrazioni di cloruri, NO3 reagisce con HSO3?: NO3(aq) + HSO3? ? NO3? + H+ + SO3?(2.13)
formando il radicale solfito SO3? e il nitrato. L?acido nitrico (HNO3) formato dall’ossidazione di NO2 in fase gassosa è la principale sorgente di nitrato nelle precipitazioni. Infatti questo acido è molto solubile in acqua e tende quindi a dissolvere nella fase acquosa dell?atmosfera: HNO3(g) ?? HNO3(aq)(2.14)
In seguito al processo di dissoluzione, HNO3 dissocia rapidamente a ione nitrato, NO3?: HNO3(aq) ?? NO3? + H+(2.15)
Dato l?alto valore della costante di dissociazione dell?acido nitrico, la concentrazione di NO3? è maggiore di quella di HNO3(aq) in tutte le nubi atmosferiche e si può quindi assumere che l?acido nitrico esiste nelle nubi esclusivamente come nitrato. 2NO2 + H2O superficie ? HNO2 + HNO3(2.16)
Mentre l’acido nitrico così prodotto rimane in soluzione, l’acido nitroso (HNO2) sarà tendenzialmente rilasciato in fase gassosa, in funzione delle caratteristiche di adsorbimento della superficie e delle condizioni termodinamiche. I nitrati contribuiscono di più alla massa totale di particolato durante i mesi più freddi rispetto a quelli caldi, quando i tassi di ossidazione di SO2 sono ridotti in risposta alle minori concentrazioni di ossidanti come OH· NH3 + OH·? H2O + NH2(2.17)
Si considera quindi trascurabile la rimozione di NH3 per ossidazione in fase gassosa con OH (Kouimtzis e Samara, 1995). L’ammoniaca reagisce piuttosto con la fase liquida e come base con i gas acidi e le particelle acide di aerosol. L’NH3 presenta un?elevata solubilità in acqua e quando dissolve in soluzione acquosa va incontro ad una reazione acido-base. Per pH < 8 l’ammoniaca è presente nella fase liquida atmosferica completamente come ione ammonio. L’ammoniaca gassosa può subire deposizione umida e secca, oppure può reagire con gli acidi solforico (H2SO4), nitrico (HNO3) e cloridrico (HCl) gassosi per formare solfato di ammonio (NH4)2SO4, bisolfato d’ammonio (NH4HSO4), nitrato d?ammonio (NH4NO3) e cloruro d?ammonio (NH4Cl) in forma di aerosol, contribuendo così alla formazione di particolato inorganico. NH3(g) + H2SO4(g) ?
(NH4)HSO4(s)(2.18) 3NH3(g) + 2H2SO4(g) ?
(NH44)3H(SO4)2(s)(2.19) In atmosfere molto acide (cioè con rapporto molare NH3/H2SO4 < 0,5) l’acido solforico esiste nella fase aerosol principalmente come H2SO4. Poi, all’aumentare dell’NH3, l’H2SO4 viene convertito ad HSO4? (permettendo la formazione dei relativi sali), e infine, se c?è abbondanza di NH3, a SO42? (e relativi sali). Per atmosfere acide NH3(g) + HCl(g) ?? NH4Cl(s)(2.20)
NH3(g) + HNO3(g) ?? NH4NO3(2.21)
Il nitrato d’ammonio si forma in aree caratterizzate da alte concentrazioni di ammoniaca e acido nitrico e basse concentrazioni di solfato. La reazione di formazione del nitrato d’ammonio è una via di condensazione dell?acido nitrico, in quanto NH4NO3, in funzione dell’umidità relativa, può esistere in forma solida o in soluzione acquosa di NH4+ e NO3?. Anche la temperatura agisce a questo livello, poiché al suo diminuire si sposta l’equilibrio del sistema a favore di NH4NO3 in fase aerosol. Le concentrazioni che si raggiungono all’equilibrio dipendono sia dalla temperatura che dall’umidità relativa: il nitrato d’ammonio ha un’elevata volatilità e tenderà facilmente a dissociare in acido nitrico ed ammoniaca ad alte temperature e bassa umidità relativa. Gli ioni cloruro Cl?e sodio Na+ NaCl(s) + HNO3(g) ?? NaNO3(s) + HCl(g)(2.22)
Come conseguenza di questa reazione il nitrato è trasferito in fase aerosol e aggiunto alla particella di sale marino, già di per sé piuttosto grande. Nello stesso tempo, l?acido cloridrico è rilasciato in aria, per cui le particelle di aerosol sembrano in deficit di cloruri. A questo deficit possono contribuire anche altre reazioni 2NaCl(s) + H2SO4(g) ?? Na2SO4(s) + 2HCl(g)(2.23)
NaCl(s) + H2SO4(g) ?? NaHSO4(s) + HCl(g)(2.24)
Gli altri cationi 2Il carico critico è definito come una stima quantitativa dell’esposizione alla deposizione o alla concentrazione a uno o più inquinanti, al di sotto della quale non avvengono significativi effetti dannosi su specifici elementi sensibili dell’ambiente. |
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GLI EFFETTI DEGLI AEROSOL |
Gli aerosol influenzano molti processi atmosferici, inclusi la formazione delle nubi, la variazione della visibilità e il trasferimento della radiazione solare, e giocano un ruolo principale nell?acidificazione di nubi, pioggia e nebbia. Vediamo un po? più nel dettaglio alcuni degli effetti del particolato.
Sul clima e sul microclima L?aerosol assorbe o riflette la radiazione solare in funzione della sua dimensione e composizione chimica e della lunghezza d?onda della radiazione. L’aerosol ha quindi un’influenza diretta sul bilancio radiativo terrestre, a cui è legato il clima, e l?effetto complessivo dipenderà dal quantitativo relativo di energia luminosa riflessa verso lo spazio (backscattering) rispetto a quella assorbita. Il particolato ha effetti anche sul microclima urbano. Infatti, nelle città l’inquinamento dell’aria contribuisce all’effetto «isola di calore» poiché inibisce la perdita di radiazioni a onde lunghe di notte. Oltre a questo, il particolato presente su città di grandi dimensioni può ridurre anche di più del 15% la quantità di radiazione solare che raggiunge la superficie. Questo effetto è più evidente quando il sole è basso sull’orizzonte, poiché il cammino percorso dalla luce attraverso l’aria inquinata aumenta al ridursi dell’altezza del sole. Quindi, a una data quantità di particolato, l’energia solare sarà ridotta in modo più intenso in città presenti ad alte latitudini e durante l’inverno. Rispetto alle aree rurali circostanti, l’umidità relativa nelle città è generalmente più bassa del 2-8%. Ciò è dovuto al fatto che le città sono più calde e che le acque meteoriche scorrono via rapidamente. Nonostante ciò, sulle città le nubi e la nebbia si formano frequentemente. Questo perché le attività umane nelle aree urbane producono grandi quantità di particelle che possono agire come nuclei di condensazione, favorendo appunto la formazione di nubi e nebbie. Infatti, quando i nuclei igroscopici sono molti il vapor d’acqua condensa rapidamente su di essi, in alcuni casi anche in situazioni di sottosaturazione. Come effetto si ha un aumento delle precipitazioni sulle città dovuto proprio al particolato (Lutgens e Tarbuck). Sulla visibilità La visibilità è definita come la più grande distanza, in una certa direzione, alla quale viene visto e identificato un oggetto scuro alla luce del giorno, o una fonte di luce non focalizzata nella notte (Kouimtzis e Samara, 1995). La riflessione della radiazione solare ad opera delle particelle di aerosol di dimensioni nell’ordine della lunghezza d’onda del visibile è il fenomeno principalmente responsabile della diminuzione della visibilità atmosferica. Sugli ecosistemi e sulle superfici L’aerosol, in seguito a deposizione secca o umida, può contribuire all’acidificazione (associata in particolare ad H2SO4 e HNO3) e all’eutrofizzazione (associata ai sali nitrati) dell’ambiente terrestre e acquatico. L’acidificazione dei suoli può portare al rilascio di elementi tossici come l’alluminio, comportando seri danni alle piante e alle varie forme di vita acquatica. Inoltre si hanno effetti diretti sulla vegetazione in relazione ad un’azione acida e ossidante delle particelle, che porta al danneggiamento dei tessuti vegetali. Sulla salute umana Il particolato atmosferico viene collocato tra i principali fattori di rischio ambientale per la salute. L’esposizione ad inquinamento atmosferico è particolare poiché è estesa a tutta la popolazione, è praticamente inevitabile (soprattutto per i cittadini di grandi aree urbane) e non è riducibile a zero. Le ricerche epidemiologiche sugli effetti del particolato atmosferico sulla salute sono relativamente recenti. La maggior parte degli studi sul particolato effettuati finora mostrano l’esistenza di associazioni statistico-epidemiologiche, ovvero una supposta consequenzialità causale tra l’aumento di inquinamento e l’aumento di patologie. Le caratteristiche delle particelle che determinano gli effetti che esse avranno sulla salute umana sono il dae e la composizione chimica. Il dae determina la capacità della particella di penetrare e depositarsi all’interno dell’albero respiratorio. Il particolato atmosferico può essere classificato in funzione della sua capacità di penetrazione all’interno dell’apparato respiratorio umano, ottenendo in tal modo anche un’indicazione sul rischio per la salute umana. In tal senso si distinguono tre frazioni: frazione inalabile: include tutte le particelle che riescono a entrare dalle narici e dalla bocca; frazione toracica: comprende le particelle che riescono a passare attraverso la laringe e ad entrare nei polmoni durante l’inalazione, raggiungendo la regione tracheo-bronchiale (inclusa la trachea e le vie cigliate); frazione respirabile: include le particelle sufficientemente piccole da riuscire a raggiungere la regione alveolare, incluse le vie aeree non cigliate e i sacchi alveolari. Il PM10 e il PM2,5 sono assimilabili rispettivamente alle frazioni toracica e respirabile. La dimensione delle particelle risulta quindi importante per gli effetti tossici esercitati sull?organismo, poiché più le particelle penetrano in profondità e maggiore sarà l?effetto tossico esercitato da esse. Inoltre, le particelle ultrafini possono superare la barriera alveolare ed entrare nel circolo sanguigno, concorrendo ad aumentare la viscosità del plasma e favorendo l’insorgere di trombosi, che possono portare a infarti ed ischemie. Le particelle più piccole possiedono un’elevata superficie specifica sulla quale avvengono i processi di adsorbimento e condensazione e presentano un maggior contenuto di inquinanti. Queste, appartenendo alla frazione respirabile, giungono fino agli alveoli, dove si trovano in intimo contatto con il comparto ematico e trasportano così all’interno dell?organismo sostanze tossiche e spesso cancerogene adsorbite sulla loro superficie. L’inquinamento atmosferico non dà origine a una malattia specifica, ma può contribuire ad una vasta gamma di processi multi-causali. È utile distinguere due tipologie di effetti dovuti a differenti modalità di esposizione agli agenti inquinanti, sebbene concretamente questi tendano a sovrapporsi. Si considerano effetti cronici quei danni alla salute umana che sopraggiungono a seguito di un’esposizione prolungata (mesi o anni). Variazioni su scala giornaliera delle concentrazioni atmosferiche di inquinanti non avrebbero influenza diretta su questi effetti a lungo termine; questi, invece, subirebbero una significativa diminuzione nell’arco di anni a seguito di un consistente miglioramento della qualità dell’aria. Ricerche condotte negli Stati Uniti e in Europa mettono in luce che l?esposizione cumulativa all’inquinamento atmosferico riduce lo sviluppo polmonare nei bambini, accelera l’«invecchiamento» delle funzioni polmonari negli adulti, aumenta la comparsa di sintomi respiratori di carattere cronico e può dare luogo anche ad una maggiore incidenza del tasso di tumore ai polmoni negli adulti. Rimarrebbe al PM10 la responsabilità dei sintomi delle alte vie respiratorie, quali la tosse (Min. Ambiente). Gli episodi acuti di inquinamento determinano nella popolazione adulta in buona salute effetti clinici lievi, con una piccola riduzione delle prestazioni polmonari, che il singolo può anche non avvertire, ma che hanno grande rilevanza epidemiologica e grande impatto sulla salute pubblica, determinando l?aumento di numerosità delle classi di popolazione con ridotta funzionalità respiratoria. |
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