L’«ecodiplomazia», da sempre attiva nei giochi di potere e con un occhio al mercato, sta facendo diverse ipotesi di come andare avanti dopo il 2012, dal momento che non c’è nessun altro trattato che sostituisca quello di Kyoto. E l’Italia ha la priorità del trasferimento dei ministeri…
Kyoto è morto, viva Kyoto. Dopo che tutti, a cominciare dai grandi inquinatori dei paesi industrializzati (Usa & Co.) o quelli in via di sviluppo o quelli che volevano restare tali (Cina, India, Brasile) hanno fatto di tutto per mettere ostacoli con le scuse più varie per promuovere le proprie tecnologie o per avere il tempo di utilizzare ancora le più inquinanti, ora l’«ecodiplomazia», da sempre attiva nei giochi di potere e con un occhio al mercato, sta facendo diverse ipotesi di come andare avanti dopo il 2012, dal momento che il Protocollo di Kyoto è ormai dato per morto e defunto e non c’è nessun altro trattato che lo sostituisca.
Ma l’Italia, tra spostamenti di ministeri e riforma della giustizia, vive in un mondo tutto suo, tranne a prendersela con il mondo intero quando arrivano trattati da ratificare o multe europee da pagare.
Gli esiti dei negoziati in corso, a livello mondiale, sul dopo Kyoto, sono abbastanza negativi, incentrati, come sono, sulla messa a punto di diversi meccanismi e metodologie di attuazione, ma non sulla sostanza di impegni di riduzione delle emissioni (a breve e lungo periodo), di strategie di attuazione (di breve e lungo periodo) nella suddivisione degli impegni, ecc.
I negoziati sono molto incentrati su cose collaterali molto importanti e necessarie, ma non prendono in considerazione le priorità sostanziali consistenti con l’obiettivo di contenere il surriscaldamento del pianeta al di sotto di 2°C.
Le proposte che stanno sorgendo per superare questo stallo sono, stando a quanto circola sulla rete, di due tipi:
– la geoingegneria, cioè la progettazione e la realizzazione di grandi impianti capaci di ridurre l’intensità della radiazione solare che giunge sulla terra. Qui sono state proposte le cose più fantasiose: dalle polveri riflettenti da immettere nella stratosfera, all’aumento della riflettività del suolo per non assorbire radiazione solare, alla fertilizzazione degli oceani, agli alberi artificiali che assorbono CO2 ecc. Di questo ne sta discutendo anche l’Ipcc riunito in questi giorni a Lima nel Perù (di questo ne parla il «New Scientist» di oggi);
– la suddivisione dei trattati di riduzione delle emissioni al di fuori delle Nazioni Unite, da mettere a punto su base regionale intergovernativa regionale (Europa, Africa, ecc.) o sub regionale (paesi caraibici, paesi sub sahariani, ecc.) o per settori economici (industria, trasporti, energia). Insomma mettere a punto tanti Kyotino, che nell’insieme equivalgano ad un nuovo protocollo di Kyoto riguardante tutti i paesi (una specie di protocollo di Kyoto federale): di questo se ne è parlato alla London School of Economics di Londra con Robert Falkner e il Chatam House Policy Institute di Londra.
In sede europea si tenta di far passare obiettivi più ambiziosi di riduzione delle emissioni (almeno il 30% al 2020), un aumento del contributo delle energie rinnovabili (fino al 45% entro il 2030) ed una riduzione delle emissione dal settore trasporti (almeno il 60% entro il 2050). Ma invano. Dopo l’attuale presidenza ungherese, passeremo alla presidenza polacca, le cui priorità sono molto diverse dai problemi dei cambiamenti climatici e della green economy.
E l’Italia sta a guardare, forse fa comodo, visto che di tutto ciò non circola nulla, come informazione.