Delta del Niger – L’Onu condanna la Shell

455
Tempo di lettura: 3 minuti

Il rapporto mette in evidenza il fallimento sistemico della Shell nell’affrontare, da molti anni, le fuoruscite di petrolio e rivela come siti che la Shell aveva dichiarato di aver bonificato siano ancora inquinati

Le attività della compagnia petrolifera Shell in Nigeria hanno un impatto disastroso sui diritti umani delle persone che vivono nel Delta del Niger: è quanto ha dichiarato Amnesty International, commentando il rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) sulle conseguenze dell’inquinamento da petrolio nel territorio dell’Ogoniland, situato nella regione del Delta.

Il rapporto, il primo del genere sulla Nigeria e basato su due anni di approfondite ricerche scientifiche, ha determinato che la popolazione del Delta del Niger è esposta da decenni a una contaminazione massiccia e grave da petrolio.

Le responsabilità della Shell

«Questo rapporto dimostra che la Shell ha avuto un impatto terribile in Nigeria, pur continuando a negarlo per anni e a sostenere falsamente che segue i migliori standard internazionali», ha dichiarato Audrey Gaughran, direttrice del programma Temi globali di Amnesty International ed esperta sull’impatto dell’inquinamento sui diritti umani delle popolazioni del Delta.

Il rapporto, redatto su richiesta del governo nigeriano e pagato dalla Shell, fornisce prove inconfutabili del devastante impatto dell’inquinamento da petrolio sulla vita delle popolazioni del Delta, una delle principali regioni africane dal punto di vista della biodiversità.

Il rapporto prende in esame i danni all’agricoltura e alla pesca e mette in luce l’elevato livello di contaminazione dell’acqua potabile, che espone le comunità locali a gravi rischi per la salute. In un caso, il tasso di un agente che provoca carcinoma, rilevato in un campione d’acqua, superava di 900 volte i limiti stabiliti dall’Organizzazione mondiale della sanità. L’Unep ha raccomandato l’adozione di misure d’emergenza per informare le comunità locali di questo pericolo.

Il rapporto mette in evidenza il fallimento sistemico della Shell nell’affrontare, da molti anni, le fuoruscite di petrolio e rivela come siti che la Shell aveva dichiarato di aver bonificato siano ancora inquinati.

«La Shell deve arrendersi all’evidenza e affrontare il fatto che deve rimediare ai danni che ha provocato. Cercare di nascondersi dietro l’operato di altri soggetti, essendo il principale a operare sul posto, non funziona – ha commentato Gaughran -. Non vi sarà alcuna soluzione al problema dell’inquinamento da petrolio nel Delta del Niger fino a quando la Shell continuerà a preoccuparsi della sua immagine aziendale a spese della verità e della giustizia».

Le conclusioni del rapporto dell’Unep chiamano in causa anche le gravi inadempienze del governo nigeriano nel regolamentare e controllare le compagnie come la Shell. I regolamenti locali sono blandi e spesso le agenzie incaricate delle indagini sulle fuoruscite di petrolio si affidano unicamente all’operato delle compagnie inquinatrici.

Il ruolo del governo nigeriano

Il governo nigeriano, le compagnie petrolifere e i governi nazionali di queste compagnie, come quelli del Regno Unito e dell’Olanda, dopo aver tratto beneficio dall’estrazione di petrolio nel Delta del Niger, devono ora sostenere programmi di riabilitazione sociale e ambientale del territorio.

«Ci auguriamo che questo rapporto sia un campanello d’allarme per gli investitori istituzionali. In passato hanno permesso alla macchina delle relazioni pubbliche della Shell di gettare fumo nei loro occhi. Ora, speriamo che pretendano di vedere la Shell all’opera per bonificare il Delta del Niger. Per farlo, dovranno esercitare effettiva pressione sulla Shell affinché eviti le perdite di petrolio, risarcisca coloro che sono stati già colpiti dall’inquinamento e renda pubbliche maggiori informazioni sull’impatto delle sue attività», ha concluso Gaughran.

Il rapporto dell’Unep segnala che vi sono altre, relativamente nuove, fonti d’inquinamento nell’Ogoniland, come i rifornimenti illegali, ma è comunque chiaro che decenni di cattive pratiche da parte della Shell siano il principale fattore di contaminazione.

Il 3 agosto si è appreso che la Shell ha ammesso la responsabilità per due grandi fuoruscite verificatesi a Bodo, nell’Ogoniland, nel 2008. Dopo tre anni di gravi danni alla vita delle comunità locali, la zona dev’essere ancora bonificata.

Un po’ di storia

L’industria petrolifera ha iniziato a operare nel Delta del Niger nel 1958, dopo la scoperta di un giacimento a Olibiri da parte dell’allora Shell British Petroleum (l’attuale Royal Dutch Shell). Oggi, gli impianti dominano un’ampia parte del territorio. Solo la Shell opera su oltre 31.000 chilometri quadrati.

I settori del gas e del petrolio costituiscono il 97 per cento delle entrate commercio estero della Nigeria e contribuiscano al 79,5 per cento del bilancio del paese. Dagli anni Sessanta dello scorso secolo, il petrolio ha generato circa 600 miliardi di dollari d’introito.

Dell’industria petrolifera nel Delta del Niger fanno parte sia il governo della Nigeria sia le succursali di compagnie multinazionali quali Shell, Eni, Chevron, Total ed Exxon Mobil, oltre ad alcune compagnie locali.

Secondo il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp), oltre il 60 per cento della popolazione locale dipende dall’ambiente naturale per il suo sostentamento. Sempre secondo l’Undp, tra il 1976 e il 2001 sono state registrate oltre 6.800 fuoruscite di petrolio, con una perdita di circa tre milioni di barili. Molti esperti ritengono che questo dato sia ampiamente sottostimato.

La normativa in vigore in Nigeria, che praticamente non viene applicata, prevede che siano le compagnie petrolifere a dover farsi carico della bonifica di tutte le fuoruscite.

> Il lavoro di Amnesty International sulla responsabilità delle aziende

> Approfondimento «Petrolio, inquinamento e povertà nel Delta del Niger»

> La mostra «Nigeria: una terra che perde, una terra che brucia»

(Fonte Amnesty international)