Partono in Artico le prove di sfruttamento del ghiaccio-metano che è presente in grosse quantità. Meno contenti i popoli della fascia sub tropicale e intertropicale per i quali i cambiamenti del clima sono la causa delle maggiori conseguenze negative e dei danni che si stanno già verificando sui loro territori e che ancor più accadranno in futuro. Ma i poveri si sa non contano
Con l’attuale deglaciazione dell’Artico, l’atmosfera terrestre sta ricevendo flussi sempre più crescenti di metano intrappolato sotto i ghiacci e nel permafrost prima dell’ultima glaciazione oppure prodotto nel permafrost stesso dalla decomposizione organica a temperature molto basse.
Con l’ultima glaciazione, infatti, il metano era rimasto intrappolato nei cristalli di ghiaccio che si erano formati, i quali, come vere e proprie gabbie, avevano inglobato al loro interno le molecole di metano. Queste strutture composte di acqua in forma cristallina entro cui è inclusa la molecola di un gas, si chiamano «clatrati idrati». Se il gas intrappolato è il metano, si parla di clatrati idrati del metano o più semplicemente di «idrati del metano» o anche di «ghiaccio-metano». Ma, i clatrati idrati del metano si possono formare anche per effetto di un aumento della pressione a tal punto da far passare le molecole di gas (come il metano) dallo stato aeriforme a quello liquido e da schiacciarle fino a far compenetrare fra loro le strutture molecolari dell’acqua con quelle del metano. Tra i fondali oceanici, gli antichi ghiacciai e il suolo ghiacciato delle aree più settentrionali del nostro pianeta, è contenuto tanto metano sotto forma di clatrati idrati da costituire una gigantesca riserva paragonabile se non superiore alle altre grandi riserve mondiali di metano.
Il metano, che ha un potere riscaldante dell’atmosfera di ben 23 volte superiore a quello dell’anidride carbonica e che ora è rilasciato nelle aree artiche per effetto della deglaciazione, potrebbe accelerare in modo imprevedibile il riscaldamento climatico globale con conseguenze, per la vita sulla terra, potenzialmente catastrofiche e difficilmente valutabili. Alcuni scienziati nel passato, ma più recentemente alcune compagnie petrolifere, hanno pensato di sfruttare la deglaciazione dell’Artico, come opportunità per estrarre in modo controllato il metano sepolto sotto i ghiacci polari e per utilizzarlo come fonte energetica. Sono state già studiate varie modalità per estrarlo. Si può aumentare, per esempio, la temperatura del suolo e del sottosuolo ghiacciato, in modo che i cristalli di ghiaccio tornano a essere acqua in fase liquida, liberando così il metano intrappolato. Ma si può anche depressurizzare le cavità ghiacciate del sottosuolo in modo da provocare la rottura dei legami cristallini che tengono insieme le molecole d’acqua che formano il cristallo e liberare il metano intrappolato. Questi metodi, però, sono abbastanza costosi e richiedono in genere più energia di quella che si ricava utilizzando, poi, il metano come fonte energetica.
I ricercatori americani che fanno capo al Dipartimento dell’Energia, hanno recentemente trovato un altro metodo per estrarre il metano, mantenendo intatta la struttura dei clatrati idrati, senza rompere, cioè, i legami cristallini o liquefare i cristalli di ghiaccio. Convogliando in modo adeguato un flusso di anidride carbonica con una modesta sovrappressione ed opportunamente riscaldato, è possibile provocare lo scambio della molecola del metano con la molecola dell’anidride carbonica nel cristallo di ghiaccio (clatrato idrato). L’anidride carbonica che sostituisce il metano, lascia la struttura cristallina inalterata, ma trasformata in un clatrato idrato dell’anidride carbonica, permettendo, nello stesso tempo, al metano di liberarsi.
Secondo gli studi svolti ed i modelli teorici messi a punto per simulare l’estrazione del metano, questo metodo appare conveniente, e non sembra presentare particolari problemi di rischio ambientale anche in situazioni glaciologiche instabili. Pertanto, come riferito da «Nature News», il Dipartimento dell’Energia degli Usa, assieme ad una compagnia petrolifera texana e ad un’altra giapponese, hanno deciso di iniziare entro la fine di questo mese, una serie di prove sperimentali in Alaska in una cavità sotterranea gelata della Prudhoe Bay, una cavità che era un pozzo di gas naturale e nella quale la concentrazione di anidride carbonica è superiore al 12%. Secondo i ricercatori, se si brucia una certa quantità di gas in questa cavità, si può creare, sia la necessaria sovratemperatura, sia l’adatta sovrappressione di anidride carbonica, che permetterebbe lo «scambio» della molecola del metano con quella dell’anidride carbonica nei clatrati esistenti in fondo al pozzo. Il metano liberato in questo modo, sarebbe opportunamente convogliato verso la superficie attraverso un successivo processo di depressurizzazione della cavità sotterranea.
Non sembra certo che l’esperimento di scambio dell’anidride carbonica con il metano nei clatrati idrati possa effettivamente riuscire con successo già al primo tentativo. Ma, se dovesse rivelarsi un successo, si aprirebbero enormi prospettive di approvvigionamento abbondante di metano e per di più si potrebbe arrivare, nel giro di qualche anno, alla produzione industriale e alla commercializzazione del metano così prodotto.
Se per i produttori di combustibili fossili, la deglaciazione dell’Artico si prospetta come una nuova opportunità economica, non dello stesso parere sono i popoli dei paesi più poveri della fascia sub tropicale e intertropicale per i quali i cambiamenti del clima non sono per nulla un’opportunità, ma la causa delle maggiori conseguenze negative e dei danni che si stanno già verificando sui loro territori e che ancor più accadranno in futuro.
(Fonte Enea-Eai)