L’ordinanza su esche e bocconi avvelenati

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Nel 2011, solo negli spazi condominiali, sono stati registrati oltre 1.250 intossicazioni di cani e 2.000 di gatti, il 7% in più rispetto all’anno precedente. Di questi, sono morti 450 cani ed oltre 1.300 gatti

È stata rinnovata il 10 febbraio l’ordinanza del ministero della Salute per le «Norme sul divieto di utilizzo e di detenzione di esche o di bocconi avvelenati» da parte dell’on. ministro Balduzzi.

Il provvedimento, pubblicato sulla G.U. Serie Generale n. 58 del 9 marzo 2012, data in cui è entrato in vigore, avrà efficacia 24 mesi e sarà uno strumento fondamentale per prevenire e contrastare un fenomeno che nel nostro paese, ha dimensioni ancora allarmanti.

I dati diffusi dall’Aidaa (Associazione italiana difesa animali ed ambiente) sono a dir poco preoccupanti: nel 2011, solo negli spazi condominiali, sono stati registrati oltre 1.250 intossicazioni di cani e 2.000 di gatti, il 7% in più rispetto all’anno precedente. Di questi, sono morti 450 cani ed oltre 1.300 gatti.

La fonte di avvelenamento più comune, soprattutto per animali domestici come cani e gatti, è rappresentato dai rodenticidi. L’ingestione di queste sostanze può avvenire sia direttamente, tramite i cosiddetti «bocconi avvelenati», sia indirettamente, attraverso l’ingestione di roditori avvelenati. Quest’ultima via è assai frequente nei gatti, a causa della loro attività predatoria.

Fra i rodenticidi più comunemente utilizzati vi sono gli antagonisti della vitamina K, sostanze che agiscono inibendo a livello epatico l’azione dell’enzima responsabile dell’attivazione di questa vitamina. Vitamina che riveste una fondamentale importanza nel processo della coagulazione. In seguito all’azione di tali veleni, le riserve epatiche di vitamina K si esauriscono, determinando un’alterazione della coagulazione con comparsa di emorragie letali, se non correttamente trattate. Poiché si tratta di fenomeni lenti, che impiegano anche dai 3 ai 5 giorni per manifestarsi, l’ingestione di piccole quantità di sostanza tossica, ripetute per più giorni, risulta essere più grave e dannosa dell’ingestione di una singola dose più elevata.

I sintomi di un avvelenamento da rodenticida sono i seguenti: depressione, anoressia, ecchimosi ed ematomi nelle parti più declivi dell’animale, pallore delle mucose, epistassi, ematuria, melena, tosse con difficoltà respiratoria finanche a convulsioni, paresi e/o paralisi nei casi più gravi.

La diagnosi si effettua mediante raccolta anamnestica, valutazione della sintomatologia in atto e degli esami di laboratorio, in cui il profilo coagulativo risulterà più o meno alterato a seconda della gravità dell’avvelenamento. La terapia prevede somministrazione di vitamina K per almeno 3-4 settimane, monitorando la situazione clinica con gli esami di laboratorio e ricordando che l’assorbimento di tale vitamina è aumentato in corso di dieta iperlipidica. Nei casi più gravi, può essere necessario sottoporre l’animale ad una trasfusione di sangue. La prognosi è strettamente legata alla situazione clinica dell’animale, al profilo coagulativo e, soprattutto, alla rapidità di intervento.

Le novità apportate dall’ordinanza si concentrano negli articoli 2 e 3 del testo amministrativo. Se prima, per identificare la sostanza causa di avvelenamento era necessario l’invio in laboratorio della carcassa dell’animale morto, ora basterà inviare anche solo dei campioni, permettendo di giungere ad una diagnosi anche nei casi in cui l’animale sopravvive. L’ordinanza impone di inviare tutto il materiale patologico da analizzare esclusivamente alle Asl competenti per territorio o alle imprese convenzionate, prescrivendo che gli esami necroscopici vengano effettuati entro 48 ore dal ricevimento delle carcasse. La celerità delle operazioni permetterà di individuare immediatamente la sostanza tossica in questione e di iniziare quanto prima la terapia antidotale.

Il testo integrale dell’ordinanza, è sul portale della normativa sanitaria.