Il fosforo è il vero tallone d’Achille della vita sulla terra, e ciò non dipende strutturalmente dall’uomo, ma dai cicli naturali. Pochissimi ne parlano, ma la scienza ecologica lo sa bene. Quando l’elemento, veicolato dalle acque che scorrono in superficie e lo sottraggono al suolo, raggiunge gli oceani in buona parte precipita nei sedimenti profondi e non viene recuperato dai cicli naturali, né l’uomo può andarlo a recuperare da lì
Apriamo una finestra su un tema alquanto spinoso. Credo che tutti, prima o poi, ci siamo posti una recondita domanda: su questo dannato pianeta, siamo troppi o no? E se no, di quanto possiamo ancora crescere?
Solo ammettere di pensarci o averci pensato ci fa sentire, come minimo, politicamente scorretti, se non dei mostri neonazisti o neo-eugenetisti (quelli che ci vorrebbero selezionare alla nascita o modificarci nei cromosomi); comunque dei maledetti egoisti. Perché capita di associare a questo pensiero anche il classico «io speriamo che me la cavo», o le più nefande idee su come staremmo meglio se fossimo pochi e su cosa cripticamente augurarci che possa decimare la popolazione mondiale (noi esclusi), o addirittura provare, assieme all’orrore, anche quell’inconfessabile fremito quando sentiamo di disastri e eccidi di massa.
Prima lo ammettiamo, prima potremo parlarne sul serio e serenamente, dopo aver capito che certi impulsi sono nella natura umana, il che non vuol dire affatto che possiamo lasciargli spazio. Premetto che non ho alcuna presunzione di possedere la risposta, né mi risultano procedure scientificamente inoppugnabili per sviluppare un calcolo di questa portata, incluse le importantissime stime del Worldwatch Institute. Ma qualche considerazione utile alla riflessione individuale e collettiva si può fare, scaricando così un grande peso dall’animo e predisponendoci anche ad una diversa valutazione, ad esempio, dei fenomeni migratori.
Prima di tutto una banalità, tanto apparentemente ovvia da essere spesso ignorata. Per vivere fino alla vecchiaia bisogna mangiare e bere e non ammalarsi mortalmente (incidenti, disastri o suicidi a parte). Quindi vive chi trova queste condizioni, e se siamo vivi in più di 7 miliardi vuol dire che bene o male, più o meno tutti le abbiamo trovate. E se le abbiamo trovate senza coltivare le patate su Marte, vuol dire che sono sulla terra e, per ora, bastano.
Attenzione, degli squilibri tra chi le ha garantite e in eccesso e chi appena sopravvive non stiamo ancora parlando, anche se questo, come vedremo, è rilevante per la risposta al quesito.
Il ciclo del fosforo
Tornando al «per ora bastano» la successiva considerazione è la seguente: c’è qualcosa che, errori gestionali o ingordigia di pochi a parte, può comunque esaurirsi, riducendo l’attuale possibilità di vita umana sulla terra (tecnicamente capacità portante del pianeta)? Certo, almeno una, importante, c’è: il fosforo. Ebbene sì, questo elemento è il vero tallone d’Achille della vita sulla terra, e ciò non dipende strutturalmente dall’uomo, ma dai cicli naturali.
Pochissimi ne parlano, ma la scienza ecologica lo sa bene. Quando l’elemento, veicolato dalle acque che scorrono in superficie e lo sottraggono al suolo, raggiunge gli oceani in buona parte precipita nei sedimenti profondi e non viene recuperato dai cicli naturali, né l’uomo può andarlo a recuperare da lì. Tornerà in superficie solo dopo tempi lunghissimi, praticamente ere geologiche, come roccia riaffiorante spinta dalla deriva dei continenti, ma mai in forma concentrata e prontamente disponibile.
Quindi il fosforo, nell’arco di una era geologica, è costantemente in diminuzione nella sua disponibilità. Non ci sarebbe nessun serio problema a breve per gli ecosistemi guidati dai ritmi naturali, poiché il loro equilibrio circolare ne limita moltissimo la perdita verso il mare e ne conserva la disponibilità sostanziale in superficie. Ma l’umana gente fa la differenza. Estrae industrialmente fosfati dalle riserve, rappresentate prevalentemente dai depositi di guano (cacca di uccelli, per intenderci) per l’industria dei fertilizzanti e altri prodotti a base di fosfati (conservanti, scrostanti, ecc.).
Questa quantità in gran parte si perde dopo l’uso con le acque piovane e reflue che finiscono in mare, accelerando la perdita definitiva dell’elemento; peccato che le riserve minerarie sono in rapido esaurimento, e fra pochissimo (30/40 anni secondo il Global Phosphorus Research Initiative) saranno del tutto consumate. E la moderna agricoltura «al fertilizzante» come farà? Allora sì che non potrà bastare a sfamare tutti, questo è poco ma sicuro.
Risparmi e sprechi
In una Economia Circolare e sostenibile, petrolio, carbone e gas si possono sostituire col solare e l’eolico, una volta ridotti gli inutili sprechi; l’acqua possiamo e dobbiamo risparmiarla, recuperarla, riutilizzarla, non degradarla, e forse potrebbe bastare, anche perché comunque non si perde in massa; altri elementi e sostanze, anche rari (quelli che ci servono per le raffinate tecnologie) si possono e debbono riciclare senza disperderli; possiamo diventare tutti più vegetariani, che rende di più nella piramide calorico-alimentare; ma comunque, con l’agricoltura che pratichiamo oggi, ci serve il fosforo, che non ha sostituti.
Quindi, prima i poveri senza terra, ma poi progressivamente anche noi, sembreremmo destinati alla decimazione, dopo atroci sofferenze e sanguinosi conflitti per un pezzo di pane. Scenario ineluttabile? Se così fosse rischierebbe di accampare cittadinanza l’ideologia nazi-razzista del forte che cancella subito dalla faccia della terra circa 4/5 della popolazione, e già si sentono storie di gruppi di potenti che ci starebbero lavorando, diffondendo guerra e malattie ad arte. Ma Spectre (forse) a parte, fortunatamente l’ineluttabile non esiste, a parte la gigante rossa del sole che inghiottirà quel che resterà di noi fra miliardi di anni. E qui interviene il fattore distribuzione e disuguaglianze, che poco fa abbiamo rinviato. Chi consuma di più spreca anche di più e anticipa la perdita per chi deve ancora iniziare a coltivare efficacemente per sé stesso.
Stop alla globalizzazione selvaggia
Papa Francesco afferma che la Terra ha le risorse per tutti; atto di fede divina a parte, per la razionalità vale quanto abbiamo detto prima. Se ci siamo vuol dire che possiamo esserci, ma per continuare a restare dobbiamo cambiare molto, dobbiamo provarci, almeno. Per prima cosa, pensando al fosforo, dobbiamo assolutamente, subito, arrestarne la perdita, passando al suo massimo recupero in una agricoltura per nulla intensiva e basata sul riciclo di tutti gli scarti organici. Essendo molto meno produttiva ci servirà molto più suolo per produrre quanto basta, ma senza deforestare, anzi incrementando anche le foreste.
E come si fa? vi chiederete. Smettendo immediatamente di consumarlo per strade, parcheggi, capannoni e palazzi; recuperandolo ovunque possibile e dove è abbandonato; investendo molto nello sviluppo agricolo diffuso nel terzo mondo, quanto meno per l’autosufficienza di quei popoli, che dobbiamo smettere di derubare; a nostro vantaggio ci servono lì, vivi, sani attivi e produttivi, capaci di non fare i nostri errori e di usare al meglio la nostra scienza e tecnologia sostenibili, se proprio vogliamo fare i grandi strateghi che governano il mondo saggiamente.
Dove trovare le risorse iniziali per avviare, ammesso che ne siamo capaci, questa fase di riequilibrio produttivo globale dell’agricoltura sostenibile? Anche qui la risposta sembrerebbe facile: prima di tutto nei rifiuti. Chiariamo, non nei rifiuti quando sono già diventati tali, né negli scarti che servono a noi stessi per i famosi ricicli, ma nel surplus di cui ci circondiamo e che, non servendoci, diventa rifiuto non riutilizzabile. In sostanza nella sobrietà.
Basta questo? No, ma è un pezzo importante. E non parlo solo della sobrietà dei nostri modi di consumare, parlo molto più della necessaria sobrietà che deve impedire i grandi accumuli di ricchezze di suolo e capitali. L’esatto contrario di quello che il moderno capitalismo globalizzato sta facendo. Chi accumula per smania di ricchezza e potere, chi concentra, automaticamente spreca, distrugge e inquina, paradossalmente anche, alla lunga, a suo stesso danno.
Quel surplus, lasciato in forma decentrata e diffusa, è il capitale iniziale per la rinascita dello sviluppo sostenibile globale. Invece drenato da pochi e mantenuto in riserva, tende a degradarsi, negando immense energie potenziali ad un impiego sano e umano. E poi ci sono i maledetti soldi. Come ho già detto si stima in 25.000 miliardi di dollari (qualcosa come fra 500 e mille finanziarie di un paese come il nostro) il capitale finanziario sottratto alla pubblica disponibilità mondiale con l’evasione nei paradisi fiscali, con cui si potrebbe veramente accelerare il cambiamento. Ma vedo difficile che le organizzazioni governative nazionali e internazionali vogliano recuperarli.
E sapete che vi dico? Che se li tengano! Se ci rendiamo consapevoli che la vera ricchezza sta nel patrimonio umano e nella capacità di metterlo a frutto, si può fare a meno dei soldi e costruire comunità floride e felici lo stesso. Basta un po’ di organizzazione, come si sta già facendo in tanti posti sparsi per il mondo. Invece delle banche dei soldi nascono le banche del tempo, del lavoro, delle competenze, delle materie e dei prodotti: una modernissima forma di baratto e cooperazione, che sviluppata alla fine lascerà i detentori di grandi capitali con un pugno di mosche in mano e tanto di naso. Riflettiamoci! In una condizione di possibile benessere moderato e generalizzato, ci sapremmo anche sapientemente autoregolare come numero.