La «Direttiva Habitat» e la… fantasia italiana

5425
foto D. Uzonov @Natura2000Basilicata
Bosco Pantano a Policoro (Matera)
Tempo di lettura: 4 minuti

In Italia, quando si parla di regole in materia ambientale, l’applicazione delle norme comunitarie ha sempre trovato fantasiose interpretazioni; tanto da rendere il nostro Paese un po’ lo zimbello europeo per via delle disposizioni con cui il diritto europeo è stato trasposto nel nostro ordinamento giuridico, sottoposte a sistematiche procedure di infrazione con relative condanne

La notizia non è nuova, è di alcuni mesi fa (gennaio, per la precisione), ma non ha perso la sua rilevanza. Si tratta della nuova versione della «Guida all’interpretazione dell’articolo 6 della direttiva 92/43/CEE (2019/C 33/01)», la cosiddetta «Direttiva Habitat», dopo quelle pubblicate diciannove anni fa dalla Commissione europea.

In particolare, i paragrafi 3. e 4. dell’articolo 6 della Direttiva Habitat (che ovviamente vanno letti ed interpretati sistematicamente con gli altri) riguardano la procedura di valutazione di incidenza a cui sono sottoposti tutti i progetti ed i piani che possono avere, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, incidenze significative su un Sito Natura 2000, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo Sito.

Una procedura che riguarda, quindi, tutti i Siti Natura 2000: i Siti d’importanza comunitaria (Sic), le Zone speciali di conservazione (Zsc) e le Zone di protezione speciale (Zps). Ma, come vedremo, senza esclusione di aree ad essi collegate anche se non tutelate. Soprattutto, non è una mera procedura valutativa in campo ambientale come lo sono la Valutazione di impatto ambientale (Via) o la Valutazione ambientale strategica (Vas), ma è finalizzata alla migliore gestione del Sito Natura 2000 e, perciò, estremamente rilevante ai fini del raggiungimento degli obiettivi di protezione che la legislazione comunitaria, nazionale e regionale in materia hanno fissato.

L’«interpretazione» italiana

Purtroppo, in Italia, come sempre accade quando si parla di regole in materia ambientale e, tanto più, di protezione della natura, l’applicazione delle norme comunitarie ha sempre trovato fantasiose interpretazioni; tanto fantasiose, nel caso di specie, da rendere il nostro Paese un po’ lo zimbello europeo per via delle disposizioni con cui il diritto europeo è stato trasposto nel nostro ordinamento giuridico, sottoposte a sistematiche procedure di infrazione con relative condanne.

Le Linee Guida erano e sono un documento di cui la Commissione Ue si serve in caso di contenziosi con gli Stati membri davanti alla Corte di Giustizia europea, per corroborare le proprie posizioni, quasi sempre vincenti. Ed è, soprattutto, uno strumento che gli Stati membri e le loro articolazioni, soprattutto le Regioni, dovrebbero utilizzare per orientare le norme in materia di Rete Natura 2000 e le azioni delle Autorità competenti alla Valutazione d’incidenza. E qui le note si fanno dolenti, ma molto dolenti.

Il rapporto tra Stato e Regioni, soprattutto in campo ambientale e soprattutto dopo la sciagurata modifica del Titolo V della Costituzione avvenuta nel 2001, ha portato a situazioni paradossali. Norme comunitarie chiare e precise, ancorché di carattere generale, sono state stravolte nelle leggi di recepimento statali e regionali, determinando l’elusione delle disposizioni comunitarie e vanificando gli sforzi per raggiungere gli obiettivi concordati in sede di Direttive Ue. Qualche esempio.

Ecco le scorciatoie

La Valutazione d’incidenza è uno strumento di gestione del Sito Natura 2000? Ed allora si trova il modo per smontarne la portata delegando la gestione della procedura non al soggetto gestore del Sito Natura 2000, ma ad altra Autorità pubblica che di quel Sito non sa nulla, in Puglia, ad esempio, ad enti locali, men che meno di quali siano gli obiettivi di gestione.

Ed ancora, la Valutazione d’incidenza riguarda un progetto o un piano che deve affrontare anche la Via o la Vas? Ecco trovata la soluzione: la procedura di Valutazione d’incidenza viene effettuata nella più ampia altra Valutazione con uno striminzito documento che analizza sommariamente habitat e specie, dà qualche indicazione di mitigazione degli interventi e, oplà, il gioco è fatto. Di più, un progetto o un piano è sottoposto alla procedura di verifica di assoggettabilità a Via o a Vas in un Sito Natura 2000 oppure in un’area ecologicamente correlata al Sito? Et voilá, si esclude il progetto dall’assoggetabilità a Via ed a Vas ed il gioco è fatto, la Valutazione di incidenza non viene neanche espletata oppure, come nel caso tutto pugliese di Costa Ripagnola, la presenza del Sito Natura 2000 distante 200 metri non viene neanche considerata.

Infine, un progetto riguarda un’area ecologicamente collegata ad un Sito Natura 2000 ma esterna ad esso? Ecco che l’Autorità competente decide di non procedere alla Valutazione di incidenza perché non è il Sito Natura 2000 ad essere direttamente interessato, trascurando il detto popolare che «tutto ciò che accade a monte in qualche modo si riverbera a valle».

Un consiglio

E potremmo continuare con gli escamotage che le Autorità statali e regionali mettono in atto pur di evitare o di depotenziare l’applicazione della Valutazione di incidenza. Ovviamente, queste stesse Autorità e le altre Amministrazioni pubbliche competenti, ben si guardano dal formare i professionisti che operano sui territori. Ingegneri, architetti, geologi, agronomi e così via, sono nella stragrande maggioranza sprovvisti delle minime conoscenze per stilare un compiuto studio per la Valutazione di incidenza. Nessun documento di orientamento tecnico viene stilato.

Insomma, se in qualche modo la Via e la Vas sono entrate nell’alveo della procedimentalizzazione amministrativa, anche in questo caso depotenziandone molto la portata ed esponendo in primo luogo gli imprenditori al rischio giudiziario ed economico, la Valutazione d’incidenza resta un fastidioso ammennicolo. Anche perché essa deve avere alla base dati certi relativi a distribuzione di habitat e specie, a pressioni antropiche, allo stato di conservazione di risorse biotiche ed abiotiche.

Cioè un bagaglio di conoscenze e di analisi che prescindono dalla percezione del reale come può essere, per buona parte, una valutazione paesaggistica. E sono dati che molte volte non si hanno, non si son voluti acquisire con i monitoraggi oppure, se sono stati acquisiti, si tengono ben chiusi nei cassetti non rendendoli disponibili ai professionisti ed al pubblico in generale, altro che trasparenza.

Il consiglio che vorremmo quindi dare a tutti gli operatori pubblici e privati che si occupano di procedure di valutazione ambientale è di leggersi con attenzione le Linee Guida all’interpretazione dell’articolo 6 della Direttiva «Habitat», ripubblicate aggiornate nel 2019, anche perché sono arricchite da un notevole apparato giurisprudenziale della Corte di Giustizia con sentenze relative a ciascuna delle fattispecie affrontate nel documento.

Chissà che, in questo modo, le Autorità pubbliche competenti in materia di gestione e tutela dei Siti Natura 2000, le Autorità competenti in materia di Via e Vas ed i professionisti a vario titolo coinvolti, non si decidano ad adeguare il proprio operato all’interpretazione autentica fornita dalla Commissione europea, non foss’altro per non incorrere in evitabili procedure comunitarie d’infrazione che espongono lo Stato e le Regioni a sanzioni molto pesanti.

 

Fabio Modesti