Quegli impianti pericolosi lungo i fiumi italiani

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Dalla «Lombarda petroli» lungo il Lambro ai depositi di scorie nucleari sulla Dora Baltea fino al distretto conciario sulle rive dell’Arno: viaggio nei fiumi che scorrono lungo il pericolo. Azzerati i fondi per la messa in sicurezza nella Finanziaria 2012

«La temuta ondata di piena del Po preoccupa per le possibili esondazioni ma anche perché fa riemergere altre paure nei confronti degli impianti a rischio collocati nel suo bacino che nel febbraio 2010 si materializzarono con lo sversamento di 2.600 tonnellate di idrocarburi dalla “Lombarda petroli” di Villasanta sul Lambro». Lo afferma il Wwf Italia ricordando le situazioni di rischio per la presenza di attività pericolose o inquinanti localizzate troppo a ridosso dei nostri principali corsi d’acqua a cominciare dal Po.

«Fatti ben conosciuti – spiega l’associazione ambientalista – su cui si dovrebbe investire urgentemente in maniera mirata sulla base di un Piano strategico nazionale di priorità per rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico, quale quello istituito con la Legge Finanziaria del 2008, che nel 2009 ha visto lo stanziamento di 265 milioni di euro, e che ora viene azzerato con la Legge di Stabilità 2012».

Impianti a rischio nel bacino del Po

Quello di Villasanta in particolare è solo uno dei tanti impianti a rischio nel bacino del Po e in particolare in quella che un tempo era chiamata l’area a rischio Lambro-Seveso-Olona, interessata nel 1988 da un costoso e fallimentare piano di recupero ambientale. Ma lungo questi tre corsi d’acqua, nelle provincie di Milano e Monza-Brianza, vi sono numerosi impianti a rischio come la «Galvaniche Ripamonti» a Cologno Monzese lungo il Lambro, o le aziende chimiche lungo il Guisa, come la «Azko Chemicals» (Arese) o la «Brenntag» (Bollate); lungo il Bozzente vi sono la «Arotech» e la «Galim» (Lainate); lungo l’Olona c’è la «Pharmacia e Upjohn» (Nerviano) o sul Seveso la «Clariant»: tutte trattano sostanze chimiche, alcune particolarmente pericolose. Ma tutto il bacino del Po è interessato da impianti e depositi di stoccaggio pericolosi ubicati a pochi metri dagli alvei, come nel caso di Saluggia, sulla Dora Baltea, vergognosamente canalizzata fin dalla valle d’Aosta, dove vi sono ben due depositi di stoccaggio di scorie nucleari lambiti già dall’alluvione del 2000.

Lungo il Po troviamo anche discariche di amianto, come quella di Albaredo Arnaboldi (Pavia), piuttosto che la raffineria Tamoil di Cremona, già protagonista di sversamenti in fiume e posta tra il Po e la città, fino ad arrivare al delta dove incombe la centrale termoelettrica di Porto Tolle, dopo essere passati da Ostiglia con la centrale Enel a ridosso dell’argine maestro.

Da nord a sud, fiumi che scorrono lungo il pericolo

Il problema è diffuso in tutta Italia coinvolgendo fiumi piccoli e grandi e, spostandosi al centro e poi a sud, a ridosso del Marecchia (Rimini) vi sono impianti per il gas, mentre il Panaro è interessato da aree a rischio elevato in comune di Marano sul Panaro.

Vi sono anche aree a rischio attraversate dai fiumi come nel caso dell’Arno che passa nel distretto conciario, che comprende la zona di S. Croce sull’Arno, dove si concentrano molte aziende di cui ben 400 industrie conciarie, con problemi di sfruttamento della falda e di immissione in Arno dei reflui che, anche dopo la depurazione, contengono ancora non trascurabili carichi inquinanti. Vi sono poi le aree indicate come «siti d’interesse nazionale per le bonifiche» come lungo il Tavo-Saline in Abruzzo o la val Basento in Basilicata interessata da una pericolosa area industriale, manifatturiera e centrale del gas.

Le soluzioni per la messa in sicurezza

«Tutte le misure necessarie per la messa in sicurezza di questi impianti dovrebbero essere inserite nel cosiddetto Piano strategico Nazionale di priorità per rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico, i cui fondi però sono stati azzerati nella Finanziaria 2012», spiega Andrea Agapito, Responsabile Acque del Wwf Italia. «Attualmente diverse Regioni hanno completato i catasti degli impianti a rischio, ora è necessario agire per aggiornarli ma anche per avviare campagne di informazione e protocolli di sicurezza che riducano al minimo il rischio. L’azione migliore però è la delocalizzazione, che il Wwf chiede da almeno 10 anni, ma mancano i fondi. È, però, urgente mettere in sicurezza tutte queste situazioni; è indispensabile fornire indicazioni per cercare di limitare i danni ed evitare la dispersione, durante le piene, di materiali pericolosi».

«Per questo è necessario – conclude Agapito – che tutti gli impianti lungo i fiumi siano dotati di sistemi dry-proof, finalizzati ad impedire o minimizzare l’ingresso dell’acqua negli edifici (infissi a tenuta stagna; posizionando barriere mobili in corrispondenza di porte e finestre che possono non impedire l’ingresso dell’acqua ma ritardandolo consentono di allontanarsi o di mettere al sicuro mobili ed oggetti di valore) e/o wet-proof, mirati ad aumentare la resistenza una volta che l’acqua sia entrata (elevazione delle apparecchiature, come quelle elettriche, su piedistalli o piattaforme o istallazione nei piani superiori; protezione delle apparecchiature con sistemi di ancoraggio o a tenuta stagna…)».

(Fonte Wwf)