Spessissimo le lezioni di civiltà ci vengono da chi, secondo certa cultura, è colpevole di qualcosa a prescindere
Gentile Augias,
spesso un episodio val più di mille discorsi.
Sabato 11, pomeriggio: importante aeroporto nazionale. Salgo in aereo, terza fila. Salgono man mano i passeggeri. Sale anche un altissimo uomo di colore, vestito alla maniera di un (appariscente) rapper, con al collo una vistosa catena con tanto di pendente a forma di grossa pistola. Sguardo duro e deciso (del «rapper») sguardo curioso di qualcuno, inquieto di qualcun altro.
Si stanno per concludere le operazioni di imbarco quando si sentono voci dall’esterno della scaletta.
Si chiede in maniera concitata di qualcuno. Il personale chiede ad un passeggero di scendere: la polizia lo aspetta. Chi? Il «rapper» di colore, naturalmente. Il quale si porta sulla scaletta e comincia a discutere animatamente con le forze dell’ordine. Sguardi perplessi, nell’aereo. Ogni commento sembrerebbe superfluo.
Si alza un passeggero dalla prima fila (mi sembra di riconoscere in lui un importante giornalista di testata televisiva nazionale) e, spiegando che era stato testimone di qualcosa, si porta anch’egli all’esterno. Fasi sempre più concitate. I toni salgono. Vola qualche parolaccia. L’aria si fa tesa, nell’aereo ma soprattutto fuori. Alcuni passeggeri sbuffano e l’interpretazione di quanto sta accadendo può essere facilmente immaginata.
Qualche minuto e rientra il «giornalista». A bassa voce dice poche parole: il «rapper» avrebbe visto poco prima qualcuno del personale di terra maltrattare i bagagli di alcuni passeggeri ed avrebbe protestato, ottenendo in cambio una risposta arrogante e la minaccia della chiamata della polizia, se non avesse smesso di «rompere». Il testardo, invece, aveva ribadito il diritto ad un trattamento corretto, per i bagagli (di tutti) e per passeggeri (ancorché di colore). Cambiano i visi degli imbarcati e si fa strada un’interpretazione diversa della situazione, quando il «colored» era verosimilmente già pronto (nell’immaginario di un centinaio di persone) ad essere schedato come un disturbatore della quiete pubblica.
Termina il diverbio all’esterno. L’uomo rientra, visibilmente scosso. Sottovoce e quasi intimidito si rivolge al giornalista, passandogli accanto: «Grazie, fratello…». Lo seguiamo con lo sguardo mentre raggiunge il suo posto. Un attimo prima di sedersi si rivolge ai passeggeri e: «Chiedo scusa. Il ritardo è colpa mia». Silenzio e si siede. Poi si rialza. «Ma non è giusto prendere a calci i bagagli. I miei. Ma anche quelli di tutti. E non è giusto dire a chi protesta di stare zitti. Altrimenti…polizia». Silenzio. Una voce: «Bravo!». E lui, imbarazzato: «Comunque chiedo scusa per le urla». Silenzio imbarazzato: questa volta di tutti i passeggeri.
Mi trovo a pensare che spessissimo le lezioni di civiltà ci vengono da chi, secondo certa cultura, è colpevole di qualcosa a prescindere.
Intanto l’aereo comincia a rullare in pista. Mi giro per un ultima occhiata al nostro rapper. È corrucciato e visibilmente amareggiato. Si parte. E lui si sta facendo il segno di croce…