Il sistema capitalistico sembra aver dato già tutto ciò che poteva dare di buono. Il capitale è nato come frutto del lavoro e strumento di promozione di sinergie necessarie per lo sviluppo della qualità e quantità del lavoro. Nel tempo, poi, il capitalismo si è sempre più connotato come padrone del lavoro e delle risorse del mondo e come occasione infertile per «fare soldi con i soldi» e distruggere occupazione e risorse e, in quest’ultimo scenario, trovando anche nei sistemi non democratici, l’opportunità di esasperare ulteriormente le condizioni di vita dei cittadini (è il caso della Cina, ma non solo, che vive oggi momenti di grande successo produttivo, ma che, a fronte di uno smisurato consumo di risorse, produce ricchezza per pochissimi, sfruttamento per molti, continuità di miseria per tutti gli altri e che, per il futuro, non prevede miglioramenti significativi).
Oggi, la deriva del sistema ha messo fuori gioco la funzione del capitale come strumento per creare lavoro. Il capitalismo (quello del nostro passato) non esiste più perché si è trasformato in strumento di occupazione e di governo anche nei paesi democratici, da parte di poteri sempre più monopolistici che si avviano alla formazione di un unico monopolio finale di governo del mondo.
Un governo «globale e finanziariarizzato» che si esprime senza regole, possiede e decide ogni cosa (sottratta così ad un suo uso alternativo), programma e impone ritmo e orientamento alla vita fisica, culturale e sociale dell’uomo. Un medioevo, pur se tecnologico, di sottomissione dell’uomo a impenetrabili e non ben identificate volontà superiori, che ci toccherà sopportare (e non sarà la prima volta come la nostra storia ci racconta), anche se i semi della nostra natura umana continueranno ad essere a disposizione dei pochi e dei molti che volessero restituire senso al nostro vivere.
Del capitalismo, oggi, sembra rimanere solo il pensiero unico di un deformato concetto di «libertà», confinato in un «fare» che vorrebbe rispondere solo al meccanismo dottrinale dei consumi regolati da «domanda e offerta», ma che poi fa anche molto e inaccettabile altro (distruzione senza senso di risorse, distorsioni e prepotenze sui mercati, disprezzo e violenze contro la dignità umana, asservimento dell’uomo alle deviazioni di un’economia strumento di potere…). Un capitalismo che pretende di meritare premi e che rivendica riconoscimenti, concessioni e diritti arbitrari e ingiustificabili (supremazie politiche, produttive, commerciali, disponibilità incondizionata delle risorse globali, potere sull’uomo, esportazione di proprie ideologie in nome di presunte civiltà, interventi umanitari armati in situazioni lasciate crescere senza alcuna mediazione preventiva).
Un capitalismo espresso da un pensiero unico che sopravvive, disperatamente e funestamente, alimentato dai soli istinti del «possedere» e del «potere» ideologicamente coltivati nei contesti limitati da una competizione che vince i mercati delle cose e distrugge le relazioni collaborative fra gli uomini. Il capitalismo ha già dato quello che poteva, in termini di risposta ad alcuni primi bisogni umani, ha riconosciuto e valorizzato (ma in un contesto meno complesso) i ruoli e le competenze, le capacità di organizzazione produttiva, culturale e politica delle società umane. Ha mostrato le strade virtuose dell’uso delle risorse naturali affidate all’ingegnosità umana. Ma ha anche mostrato i limiti oltre i quali, questo modello di economia, non può andare per distorsioni intrinseche che portano fatalmente, da un lato, a far mancare la diffusione e condivisione (sostanziale e non solo formale) delle conoscenze, delle consapevolezze, delle sinergie relazionali, delle collaborazioni, delle responsabilità. Mentre, da un altro lato, punta a quella monocultura del «fare» e del «vincere» che riduce tutto alle performance, da raggiungere in qualsiasi modo, anche con abusi, prepotenze e perfino violenze che fanno degradare quanto di buono l’uomo dovesse, anche, riuscire a fare.
Tutto questo nostro passato, pur giustificabile storicamente, non offre, dunque, nessuna pietra miliare sulla strada di un futuro che volesse migliorare la qualità della vita umana.