Le riflessioni vengono chiuse nei libri di filosofia, il pensiero religioso sembra diffusamente invocato solo per ricevere grazie terrene e, in tarda età, un estremo conforto su una possibile miglior vita. Tutto un mondo che tende a sfuggire alle nostre fertili consapevolezze e che appare insufficientemente comprensibile a quei molti che, perciò, finiscono col coltivare drammatiche e devianti preoccupazioni. In queste condizioni lo stato di disagio individuale, isolato dalla spontanea propensione sia ad accogliere i propri simili, sia a sentirsi accolto da essi, genera carenze relazionali. Lo scenario di vita, in questi casi, propone diffuse sensazioni di insicurezza e genera, come fatale conseguenza, la ricerca di un potere immaginato e praticato come rimedio concreto a un mancato rapporto sociale condiviso ma, soprattutto, attiva quel malessere profondo che può facilmente degradare in incontrollate turbe mentali.
Le mancanze di relazioni e di esperienze di socializzazione, possono trovare terreno fertile, per la loro diffusione, sia in contagiose visioni autoreferenti del mondo, sia in mentalità e comportamenti deviati da visioni ideologiche e assolute, tutte condizioni che possono portare, anche inconsciamente, a un impulsivo egoismo e a una distruttiva sfiducia verso i propri simili. Nella gestione sociale dei diritti e dei doveri, vengono così resi impraticabili non tanto i modelli di una vita ideale (costruita su teorie e principi riconosciuti come universali, ma ormai diventata un’alienazione, per effetto dell’attuale dilagante pragmatismo imposto dal dover vivere alla giornata), quanto, soprattutto, i concreti ed efficaci impegni nella ricerca del senso delle cose e nelle scelte per il progresso umano.
Ma il progresso del quale è capace l’uomo, pur nella sua incompiutezza, se fa leva sulle buone relazioni e sulle sinergie, rende sia operative le intenzioni già condivise, sia esecutivi i progetti (democraticamente definiti) di miglioramento della qualità della vita umana, sia credibili le prospettive di un bene comune per il quale sentiamo che è giusto lavorare.
Gli attuali tessuti vitali, culturali, sociali… sono il frutto di un’evoluzione e di una loro diffusa condivisione, la loro natura non è, però, cambiata. Il tessuto sociale è, infatti, una realtà continua della storia di tutta la società umana, sempre attivo e sempre disponibile ad accogliere diversità e sinergie umane (una condizione ben riconoscibile in quelle comunità, di ogni tempo, che hanno fatto e continuano a fare, della creatività, il punto di riferimento vitale per costruire le proprie identità e per arricchire di significati e di opere una propria storia di fruttuose condivisioni).
Non abbiamo difficoltà a riconoscere le persistenti qualità funzionali della natura dei nostri tessuti vitali (quelli celebrali, nervosi… muscolari), attraverso i segni positivi di una condivisione dell’impegno creativo umano, finanche in situazioni di profonda diversità culturale. Sono diversità che oggi connotano molti modi di pensare e di operare, che affrontano le tematiche delle cose umane ed oltre e che possono offrire scelte di senso al disorientamento esistenziale, soprattutto dei più giovani.
C’è una diversità culturale specifica degli esseri umani che non trova origini nella diversità settoriale delle conoscenze o nell’appartenenza a tradizioni regionali diverse o a una civiltà piuttosto che a un’altra. C’è sicuramente, oggi, anche un’omologazione culturale che va di moda, che soddisfa esigenze consumistiche, ideologiche e globali, ma non si può negare che esistono culture che, pur se insidiate e non evidenti a un osservatore distratto, possono sorprenderci per una loro qualità intensamente umana e per la loro autonomia dai meccanismi che preordinano ed impongono il senso comune delle cose come guida dei nostri comportamenti e modi di pensare.
Nella diversità, propria dell’uomo, c’è un’universalità di temi e soprattutto c’è una profondità di riflessioni che la sostiene (che è, sempre, naturalmente disponibile per arricchire i nostri modi di pensare, valutare, decidere e operare con le cose del mondo). C’è una convergenza delle diversità nell’offrire prospettive alternative e risorse ampie e condivise per cercare risposte ai nostri bisogni esistenziali: risposte per essere noi stessi e non un indistinto tessuto umano in vendita per il consumo e per le sottomissioni rese obbligate da preordinati allarmi e da crisi causate da incompetenze o da presunzioni di superiorità (se non proprio da meccanismi finalizzati alla tenuta e agli interessi dei vari poteri) o da seducenti e sedicenti urgenze umanitarie.
Anche biologicamente, c’è una convergenza della diversità nell’offrire, per esempio, in modi alternativi gli alimenti essenziali per la vita: carboidrati, proteine, sali minerali… sono contenuti in cibi diversi e caratteristici di regioni della Terra anche molto lontane fra loro. L’uomo, da sempre, si è impegnato a condividere queste ricchezze di diversità, nessuno ha mai pensato di reprimere o condannare all’insuccesso i cibi che, la creatività del mondo naturale, mette a nostra disposizione in un’ampia diversità di luoghi di produzione. Lo scambio del cibo (purtroppo, anche incentivato solo per favorire la crescita dei consumi) e di risorse alimentari è una condivisione di diversità che deve indurre riflessioni non solo sulla qualità del cibo e della sua preparazione, ma anche sui suoi significati più generali di sicuro interesse per ogni momento e bisogno, non solo materiale, del vivere umano.