Si conclude la spedizione dell’Associazione. Un’area riccha di coralli molli, anemoni di mare e tunicati, che potrebbero essere distrutti dall’espandersi della pesca a strascico e dai cambiamenti climatici
Dopo due mesi di navigazione al Polo Nord, si conclude oggi la spedizione «Arctic Under Pressure». Greenpeace chiede misure urgenti per il clima e una moratoria internazionale per ogni attività industriale nell’Oceano Artico.
Durante la spedizione, a bordo del rompighiaccio «Esperanza», Greenpeace è andata a investigare i problemi che minacciano il fragile ecosistema dell’Oceano Artico. È riuscita a documentare con immagini uniche l’incredibile vita marina dei fondali a nord delle Isole Svalbard, ricchi di coralli molli, anemoni di mare e tunicati, che potrebbe essere distrutta dall’espandersi della pesca a strascico. Allo stesso tempo la spedizione è anche servita per studiare con ricerche all’avanguardia gli effetti dell’acidificazione delle acque, a causa dell’assorbimento della CO2 da parte degli oceani.
Mentre il cambiamento climatico sta causando lo scioglimento dei ghiacci e l’acidificazione delle acque, infatti, l’Oceano Artico è sempre più minacciato dall’espandersi di attività industriali, tra cui la pesca e le esplorazioni per idrocarburi liquidi e gassosi.
«Permettere alle flotte da pesca industriali di sfruttare lo scioglimento dei ghiacci per espandersi verso nord – avverte Giorgia Monti, responsabile campagna Mare di Greenpeace – mette a rischio gli incredibili habitat dell’Oceano Artico, ancor prima che possano essere propriamente studiati».
A bordo dell’Esperanza una troupe di scienziati dell’istituto di ricerca tedesco Ifm-Geomar ha svolto il più grande esperimento mai condotto prima sull’acidificazione degli oceani, un processo causato dall’aumento dei livelli di CO2 dovuto all’utilizzo di combustibili fossili e alla distruzione delle foreste.
«L’esperimento – afferma il professor Ulf Riebesell, a capo del progetto – è stato un successo. Adesso non solo siamo in possesso del più completo set di dati mai avuto rispetto agli impatti dell’acidificazione sulle acque artiche, ma da questo esperimento abbiamo anche imparato che l’acidificazione degli oceani in queste acque ha un preciso impatto sulla base della catena alimentare, che potrebbe avere delle implicazioni per l’intero ecosistema».
Greenpeace chiede con urgenza che le lezioni apprese dal collasso di specie ittiche, quali il merluzzo dell’Oceano Atlantico, o dalla devastazione causata dal disastro del Golfo del Messico, siano usate per proteggere l’Oceano Artico.
«L’Artico, un ambiente polare ancora selvaggio e incontaminato, deve essere protetto dalla doppia minaccia del cambiamento climatico e dello sfruttamento delle risorse. I Governi – continua Monti – devono stabilire controlli più severi per proteggere quest’area, includendo una moratoria internazionale su ogni attività industriale».
(Fonte Greenpeace)