L’ultimo libro di Ugo Leone. Si parla di resilienza e adattamento, due principi che d’accordo auspicano la risoluzione dei problemi e il ristabilimento di una più tranquilla condizione umana in un pianeta cambiato e al cui cambiamento sarà necessario adattarsi
La Terra da anni ha intrapreso la strada di un pericoloso non ritorno che induce molti a paventare il rischio che si vada incontro ad una sesta estinzione di massa. La responsabilità maggiore viene attribuita agli effetti dei mutamenti climatici: incremento degli eventi estremi; scioglimento dei ghiacciai polari; innalzamento del livello di mari e oceani. La crescita della popolazione che potrà arrivare a dieci miliardi di persone entro la fine del secolo aumenta la vulnerabilità del pianeta. Ma l’umanità ha gli strumenti per invertire questa tendenza e far prevalere l’istinto di conservazione.
Questi i tanti temi affrontati nel libro «Terra mia. Estinguersi o evolvere?», libro scritto da Ugo Leone (edito da Guida Editori), già professore ordinario di Politica dell’ambiente presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università di Napoli «Federico II» e presidente del Parco nazionale del Vesuvio.
Un libro costituito da cinque capitoli che partendo dal contesto generale che descrive la terra, i suoi abitanti, le piante e gli essere inanimati affronta quindi il tema del cambiamento climatico e di quelli che sono stati gli strumenti utilizzati per arginare i mutamenti, l’Accordo di Parigi in primis.
Un Accordo sul clima risultato storico scriveva il «Corriere della Sera» all’indomani della chiusura dell’incontro parigino e che in poche parole può essere riassunto sintetizzando che l’intesa prevedeva il contenimento dell’incremento della temperatura della Terra in modo da non superare 1,5 gradi centigradi e questo attraverso un volontario taglio delle emissioni.
L’Accordo inoltre prevedeva l’impegno dei Paesi industrializzati ad alimentare un fondo annuo da 100 miliardi di dollari (a partire dal 2021) per il trasferimento delle tecnologie pulite nei Paesi non in grado di fare da soli il salto verso la green economy. Ma non è poi tutto così facile e pur trovandoci in presenza di una nuova pagina di storia la lotta al surriscaldamento globale ha dovuto fare i conti con la povertà derivante dagli sconvolgimenti climatici. Un problema grande questo aggravato dal fatto che i Paesi responsabili, nell’arco degli anni, non si sono impegnati a modificare gli stili di vita, i consumi e le produzione delle merci in modo meno energivoro.
E allora quale approccio usare per inquadrare la questione esistente e provare a superare l’impasse?
L’autore ricorda che nel 2009 «Nature» pubblicò un documento di 29 scienziati nel quale si avvertiva che l’impatto dell’umanità sui sistemi naturali era vicino al raggiungimento dei punti critici. Il documento citava nove problemi con i quali bisognava fare i conti: mutamenti climatici, acidificazione degli oceani, riduzione in atmosfera della fascia di ozono, modificazione del ciclo di azoto e fosforo, disponibilità di acqua, uso del suolo, perdita di biodiversità, diffusione dell’aerosol atmosferico, inquinamento da prodotti chimici.
Secondo l’autore il catastrofismo, accezione negativa del termine Apocalisse che etimologicamente significa di contro svelamento, «puro e duro» è l’approccio peggiore perché induce alla rassegnazione.
Quello che invece serve, il miglior augurio che possiamo fare oggi alla nostra Terra, è un umanesimo in grado di ristabilire un giusto rapporto con la natura, una vera rivoluzione delle coscienze e questo rovesciando princìpi e norme oggi considerati intoccabili.
Ma la questione non è legata solo ai cambiamenti climatici bensì anche all’aumento di rischio ossia all’aumento della vulnerabilità legato al maggior numero di persone e prodotti materiali esposti alla violenza dei fenomeni naturali.
Un rischio che costa, tra l’altro, in termini di perdita di valore dell’ambiente e della società colpiti da una calamità, ma la cui opera di ricostruzione fa aumentare il Prodotto interno lordo (Pil) di una determinata nazione.
Ma allora quale futuro?
Nel libro si parla di resilienza e adattamento, due principi che d’accordo auspicano la risoluzione dei problemi e il ristabilimento di una più tranquilla condizione umana in un pianeta cambiato e al cui cambiamento sarà necessario adattarsi.
Sviluppare resilienza ossia capacità di affrontare le avversità della vita, superarle e uscirne trasformati o addirittura rafforzati e adattamento, facoltà degli organismi viventi di mutare i propri processi, anche comportamentali, consentendo loro di adattarsi alle condizioni dell’ambiente nel quale vivono.
Difendere, in definitiva, la nostra Terra, fragile pianeta, unico pianeta che abbiamo e che non è nemmeno completamente nostro perché ci è stato dato in prestito da chi verrà dopo di noi. Figli, nipoti e generazioni a venire che desidererebbero trovarlo per lo meno come ce lo hanno dato, meglio ancora se in condizioni di migliore vivibilità e maggiore sicurezza.
Elsa Sciancalepore