Su «Nature Geoscience» lo studio di un team internazionale con l’Università di Firenze. Ricostruiti per la prima volta gli effetti del surriscaldamento globale sulla flora terrestre e marina
Una crisi di biodiversità, prima sulla terraferma e poi negli oceani, si verificò sul nostro pianeta durante il Giurassico inferiore, a causa del rapido innalzamento delle temperature dovuto a forti eruzioni vulcaniche. Lo ha documentato sulla rivista scientifica «Nature Geoscience» il team internazionale composto da Silvia Danise, ricercatrice di Paleontologia e paleoecologia dell’Università di Firenze, e da ricercatori del Museo di Storia Naturale svedese e del Museo di Storia Naturale di Londra.
Circa 180 milioni di anni fa un’intensa attività vulcanica provocò l’immissione nell’atmosfera di grande quantità di anidride carbonica che causò un aumento delle temperature, fino a 7°C, su tutto il pianeta. I ricercatori hanno ricostruito per la prima volta la successione degli effetti sugli ecosistemi terrestri studiando i resti del polline e delle spore che si sedimentarono nei fondali marini giurassici e che ora affiorano sulle scogliere della costa nord-orientale del Regno Unito.
«Abbiamo osservato che già dalle prime fasi dell’attività vulcanica, ancor prima del raggiungimento del picco di riscaldamento, si ebbe una crisi di biodiversità — spiega Silvia Danise — e dense foreste lussureggianti di conifere e felci vennero sostituite da poche specie, adatte a climi aridi e caratterizzati da forte siccità».
Lo studio si è basato sull’analisi di spore e polline delle piante che, trasportati dal vento, sono confluiti nei sedimenti marini costieri, poi fossilizzati. Questa condizione rappresenta un vantaggio per gli studiosi perché la stratificazione congiunta di reperti relativi all’ambiente terrestre e degli oceani permette di confrontare direttamente i cambiamenti sui due ambienti.
«La crisi di biodiversità sulla terraferma anticipò quella marina — racconta la ricercatrice —. Il plancton proveniente dalle stesse rocce indica infatti che negli oceani essa avvenne successivamente e coincise con il picco delle temperature, quando fioriture algali innescarono la creazione di zone a basso tenore di ossigeno negli oceani; ciò provocò anche l’estinzione di molte specie marine».
«Si tratta di un dato significativo — commenta la ricercatrice — perché suggerisce che gli ecosistemi terrestri sono più vulnerabili degli oceani alle prime fasi di cambiamento climatico».
«Episodi di riscaldamento globale si sono verificati più volte nella storia geologica del nostro pianeta — conclude Danise —. Lo studio della risposta degli ecosistemi a tali eventi ci può dare importanti informazioni per comprendere le conseguenze a lungo termine dei cambiamenti climatici e della crisi di biodiversità attuali».
La ricerca è stata finanziata da fondi del Swedish Research Council e del Nature Environment Research Council britannico.
(Fonte Università di Firenze)