Manca ancora una decisa azione di semplificazione: se non vengono premiate le imprese che riducono le loro emissioni, se non si fanno decreti per applicare l’economia circolare nel settore, come si possono raggiungere gli obiettivi prefissati?
Il Patto sul clima di Glasgow è stato siglato dai circa 200 Paesi riuniti alla Cop26 dopo un intervento all’ultimo minuto da parte dell’India per annacquare la stesura finale nella parte relativa al taglio delle emissioni derivanti dal carbone. L’India è intervenuta nella plenaria finale per chiedere di sostituire nel testo la formula «phase-out», cioè «eliminazione graduale» del carbone, inserendo l’espressione «phase-down», cioè «riduzione graduale».
Pochi minuti prima del voto finale la presidente della Commissione Ue, Ursula Von Der Leyen, ha esortato: «Manteniamo intatta la nostra ambizione nelle ultime ore della Cop26. È la nostra occasione di scrivere la storia. Ancora di più, è nostro dovere agire ora».
E la Cop26 si è chiusa con un accordo che rende molti insoddisfatti ma che alla fine è stato votato da quasi 200 Paesi.
Tuttavia la Cop26 ha raggiunto importanti risultati nel tentativo di ridurre l’impatto dell’uomo sui cambiamenti climatici. Chi crede il contrario, a mio avviso, sbaglia perché si affida ad un’ideologia, quella ambientalista, che li porta a cercare una soluzione perfetta. Ma non esiste.
Noi umani, come tutte le specie viventi dell’ecosistema, consumiamo energia per riprodurci e sopravvivere. Per produrre energia ci affidiamo alle risorse del pianeta. La richiesta di risorse cresce con l’aumentare del legittimo diritto di ciascuno di noi di prosperare e vivere in pace e serenità.
L’obiettivo è quindi quello di prosperare in modo più efficiente, cioè limitando l’uso di risorse del pianeta mediante i sistemi a oggi conosciuti e potenziando la ricerca di nuove forme utilizzabili di energia.
Ha ragione chi sostiene che possiamo consumare meno. Ma il meno non deve e non può riflettersi sul benessere. Dobbiamo quindi produrre meglio l’energia che ci nutre ogni giorno.
Per farlo alcuni Paesi, tra cui l’Europa, che conta meno di 500 milioni di abitanti (su 7,6 miliardi) vorrebbe imporre al resto del pianeta una serie di comportamenti attraverso regole stringenti. Ma queste regole si applicherebbero solo a chi esporta verso l’Europa. Poca cosa.
Regole accettate da tutti
È importante, invece, che le regole siano accettate da tutti. Quindi, vanno negoziate per riflettere gli interessi dei 7,6 miliardi, non solo dei 500 milioni di europei che, non va dimenticato, per raggiungere il benessere attuale, hanno ampiamente abusato del pianeta.
Ci vuole tempo come ricordano dall’India. Occorre includere tutti come ricordano dall’Indonesia. Le regole da sole non bastano. Servono anche risorse economiche e finanziarie per attivare le relative riforme nei comportamenti. La Cop26 è un passaggio. Il tempo è poco rispetto ai guasti al clima, vero. Ma gli uomini sono tanti.
Ci vuole tempo come ricordano dall’India. Occorre includere tutti come ricordano dall’Indonesia. Le regole da sole non bastano. Servono anche risorse economiche e finanziarie per attivare le relative riforme nei comportamenti.
Il Patto sul clima di Glasgow ha mantenuto l’obiettivo prioritario di contenere l’aumento delle temperature sotto la soglia di 1,5°. Allo stesso tempo ha rivolto un invito ai Paesi ad accelerare sulle fonti rinnovabili, a chiudere al più presto le centrali a carbone e ad eliminare i sussidi alle fonti fossili.
I paesi meno sviluppati hanno denunciato l’assenza nel testo degli impegni per il fondo da 100 miliardi di dollari all’anno previsto dall’Accordo di Parigi per aiutare a decarbonizzare. E non si è previsto neppure un fondo, richiesto a gran voce dagli Stati in via di sviluppo, per ristorare i danni e le perdite dovute al cambiamento climatico. Tuttavia alla Cop26 arriva il nuovo accordo mondiale sul clima: tutti i 197 partiti appartenenti delle Nazioni Unite hanno aderito, nonostante la forte riserva e la delusione espressa da molti. A lasciare l’amaro in bocca è stata la mediazione sul taglio dell’uso del carbone come fonte energetica.
Bisogno di energia
Ebbene, anche dopo la Cop26, le fonti fossili avvelenano l’aria, rendono il clima insopportabilmente caldo, ma continuiamo ad averne bisogno. Più di prima perché la ripresa è forte, le materie prime scarseggiano, le loro quotazioni sono esplose.
L’Europa, giustamente fiera di essere all’avanguardia nel porsi l’obiettivo di una net zero emission nel 2050, indispensabile per contenere il rialzo delle temperature, teme di rimanere questo inverno al freddo. L’impegno a piantare mille miliardi di alberi da qui al 2030 (contenuto nei documenti finali del G20) ha uno straordinario valore perché non vi è modo migliore per catturare la CO2. Ma non si corre il rischio che appaia fin da subito irrealizzabile? Sono 142 alberi per ogni abitante della Terra.
Di certo è che nei primi dieci mesi del 2021, il Prezzo unico dell’energia elettrica è salito del 173 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il gas del 272 per cento. Ciò ha costretto il governo a impegnare 4,7 miliardi per attenuare le bollette. Facendo ricorso anche ai fondi per la transizione ecologica raccolti grazie agli Ets (Emission trading System).
Quello che colpisce è che la crescita dei prezzi del gas non sia stata avvertita e contrastata dai governi per tempo. Una colpevole negligenza riconducibile al convincimento che di petrolio e di metano non valga la pena di interessarsi. In realtà il gas resterà fondamentale ancora per lungo tempo come fonte marginale per l’equilibrio del sistema elettrico. Morale: se per ipotesi teorica le fossili uscissero di scena non troverebbero fonti in grado di sostituirle.
Condivido l’espressione gergale del premier britannico, Boris Johnson, «un minuto a mezzanotte». Dà il senso che non vi è più un minuto da perdere. Salvo poi ricorrere, come altri suoi partner internazionali, all’uso del carbone (per il quale si è deciso di fermare gli investimenti pubblici) se l’eolico e il solare, fonti rinnovabili ma purtroppo intermittenti, non producono più l’elettricità necessaria.
Migliorare l’efficienza
Diventa quindi fondamentale migliorare l’efficienza energetica per raggiungere gli obiettivi climatici di lungo periodo.
Uno sguardo ai settori più inquinanti, in termini di emissioni di carbonio, rivela che l’edilizia è l’unico settore, insieme ai trasporti, ad aver aumentato le proprie emissioni dal 1990 a oggi, ma con il Pnrr e il Superbonus si può intervenire per ridurre consumi e sprechi.
Migliorare l’efficienza degli immobili, non solo quelli residenziali, è fondamentale per raggiungere gli obiettivi climatici di lungo periodo. L’edilizia ha un ruolo fondamentale nella nostra vita, ma è il più grande motivo di consumo di energia nell’Unione europea ed è tra le principali responsabili delle emissioni di biossido di carbonio. Oggi circa il 75% del parco immobiliare dell’Ue è inefficiente sotto il profilo energetico. Ciò significa che gran parte dell’energia utilizzata va sprecata. Questo spreco di energia può essere ridotto al minimo migliorando gli edifici esistenti e cercando soluzioni intelligenti e materiali efficienti sotto il profilo energetico quando si costruiscono nuove abitazioni. La ristrutturazione degli edifici esistenti potrebbe ridurre del 5-6% circa il consumo totale di energia dell’Ue e del 5% circa le emissioni di biossido di carbonio. Tuttavia, in media, meno dell’1% del parco immobiliare nazionale è ristrutturato ogni anno. Per realizzare gli obiettivi in materia di clima ed energia, i tassi di ristrutturazione dovrebbero almeno raddoppiare. Le norme dell’Ue sull’efficienza energetica negli edifici hanno un impatto chiaramente positivo. Dopo che le prime misure sono state introdotte nei regolamenti edilizi nazionali, il consumo energetico nei nuovi edifici di oggi si è dimezzato rispetto agli edifici tipici degli anni Ottanta.
Oltre ai vantaggi ambientali derivanti dai ridotti consumi di energia, tutti i cittadini beneficeranno anche di una migliore efficienza energetica a casa, al lavoro, a scuola e in altri edifici.
Gli edifici ad alta efficienza energetica si tradurranno in bollette energetiche meno care e nella riduzione della domanda di energia. In alcuni casi utilizzeranno anche più energia da fonti rinnovabili. Grazie a questi cambiamenti sarà possibile migliorare la qualità dell’aria e la salute.
Con alcune misure di ristrutturazione riguardanti l’edilizia popolare e nuove norme per i paesi dell’Ue per misurare e monitorare i dati per coloro che hanno difficoltà a pagare le bollette energetiche, queste norme di ristrutturazione degli edifici contribuiranno a combattere la povertà energetica nell’Ue e a garantire che nessun cittadino sia trascurato nella transizione verso l’energia pulita.
Il patrimonio edilizio italiano è molto vecchio: ci sono 12 milioni di edifici che hanno quasi 50 anni e sono stati realizzati prima delle normative energetiche e antisismiche, con tecnologie e materiali che avevano caratteristiche e prestazioni ben diverse da quelle moderne. Si tratta di immobili che consumano quattro-cinque volte di più dei nuovi edifici. Da qui la necessità di una riqualificazione su larghissima scala.
Il più importante provvedimento normativo in materia è l’Ecobonus, in vigore dal 2008, che permette di detrarre dall’Irpef o dall’Ires una percentuale degli oneri sostenuti per i lavori agli edifici. Poi l’anno scorso, con il decreto Rilancio, l’Ecobonus è stato ampliato, come se avesse ricevuto una buona dose di steroidi: il nuovo Super Ecobonus edilizio ha incrementato al 110 per cento l’aliquota di detrazione Irpef/Ires per interventi che prevedono il miglioramento di almeno due classi energetiche per l’edificio o unità immobiliare: dovrebbe consentire di ridurre le emissioni di CO2 di circa il 28 per cento in più rispetto al vecchio Ecobonus (applicato sul singolo immobile).
Si tratta di un risultato eccezionale che pone il Superbonus al centro del processo di miglioramento della qualità edilizia del nostro Paese, sia dal punto di vista della sicurezza che del risparmio energetico. L’attenzione dimostrata dal governo nel recente disegno di legge di bilancio con la proroga fino al 2023 dell’aliquota al 110 per cento e il suo proseguimento, ad aliquote inferiori, nel biennio 2024-2025, ritengo vada nella giusta direzione.
Vi è però anche un’altra direttrice di intervento per migliorare la transizione ecologica nel settore dell’edilizia. Riguarda l’aspetto normativo, indispensabile per un vero e proprio cambio di passo.
Manca ancora una decisa azione di semplificazione: se non vengono premiate le imprese che riducono le loro emissioni, se non si fanno decreti per applicare l’economia circolare nel settore, come si possono raggiungere gli obiettivi prefissati?
La transizione ecologica è una grande opportunità non solo per prenderci cura del nostro Pianeta e arginare i gravi effetti dei cambiamenti climatici, ma anche per far lavorare le imprese in opere di messa in sicurezza di città e territori sempre più colpiti dagli eventi atmosferici.
Francesco Sannicandro, già Dirigente Regione Puglia e Consulente Autorità di Bacino della Puglia