Il numero di autovetture si è accresciuto a dismisura, sono cresciute di dimensioni di ingombro, di cilindrata, di consumo, di costo. Una vettura di prestigio oggi costa come un appartamentino di tre vani, ma certo consente di esercitare la fondamentale funzione cui tali vetture sono finalizzate: apparire ed, in secondo luogo, far rosicare. Le utopie di trent’anni fa di eliminare la circolazione di auto, si è miseramente infranta nel fenomeno opposto che ovviamente ha i suoi costi ambientali
Ho imparato a guidare nel 1958 su una Topolino giardinetta Fiat, la mitica vetturetta con carrozzeria in parte di frassino (le piante utilizzate a tale scopo comportarono il massacro del bosco di Policoro, in cui tale specie era molto abbondante e con alberi di dimensioni ragguardevoli), in una situazione in cui di autovetture ne circolavano ben poche. Abitando in provincia, in quei tempi capitava talvolta di venire nel capoluogo per spese varie; mio padre aveva l’abitudine di parcheggiare in via Sparano, di fronte ad una profumeria ormai scomparsa da decenni (Pisani). Mi ricordo che una volta dovette suo malgrado posteggiare in prossimità della chiesa di San Ferdinando, e si lamentò dell’insopportabile numero di macchine presenti che gli sottraeva lo spazio abitualmente (ogni qualche mese…) utilizzato.
Dal 1958, con una media prudenziale di almeno 18.000 km all’anno, ho percorso oltre 1,16 milioni di km. Ho certamente contribuito abbondantemente all’inquinamento ed all’effetto serra, utilizzando autovetture non certo ecologiche come quelle attuali; calcolando un consumo prudenziale di 1 litro ogni 13-14 km, facendo conteggi che non espongo, il mio contributo all’effetto serra è stato di 694 tonnellate. Oggi uso molto più raramente l’auto e quindi le poche e sporadiche emissioni di CO2 sono compensate dal buon comportamento come pedone abituale.
Per farmi perdonare, in termini ecologici, a suo tempo avrei dovuto piantare alberi in numero sufficiente a compensare il mio misfatto. Non lo ho fatto, poiché non avevo terra da destinare al rimboschimento. Particolare questo, comune alla quasi totalità degli utilizzatori di auto, non trascurabile oggi che circolano cifre strabilianti di alberi da piantare per ridurre l’effetto serra (Stefano Mancuso parla di 1.000 miliardi di alberi, come dire 1.000 milioni di ettari se si ammette che un rimboschimento utilizzi 1.000 piante per ettaro, e superfici molto maggiori con rimboschimenti a bassa densità); non si capisce dove e come intervenire e soprattutto con quale effetto sulle coltivazioni che nel tempo hanno sostituito la foresta esistente per un totale di superficie non molto distante a quello da destinare al suo ritorno, con impatti mostruosi in termini di macchinari da impiegare, di emissioni di gas di scarico, di acqua da utilizzare, di vivai da realizzare, di conflitti sociali insanabili a scala di nazione. Al netto di questa considerazione critica su quello che avrei dovuto fare, obbligo esteso a tutti quelli che hanno utilizzato un’auto, guidare a quel tempo era agevole e rilassante: poche auto, autostrade, appena realizzate, quasi vuote, tanto da farti venire un senso di inferiorità nel vedere che con i mezzi a disposizione si poteva correre quanto si voleva, ma non alle velocità sognate. Correre in autostrada svelava la miseria tecnologica delle auto che vi si avventuravano.
In paese si circolava agevolmente, si posteggiava senza difficoltà, e le poche autovetture in circolazione erano facilmente collegate al proprietario. Altri tempi ovviamente, spesso enfatizzati, magnificati e depurati di altre difficoltà dall’ondata benevola dei ricordi.
Mi sono venuti in mente questi dettagli quando due giorni fa, nel preparare questa breve noterella, mi sono imbattuto in un documento trovato in rete, predisposto da Bariviva ed intitolato «Manutenzione strade a Bari, interventi per oltre 4 milioni di euro. L’elenco completo dei lavori che verranno realizzati nel 2022». In esso leggo che «Bari ha una rete stradale di oltre 1.100 km, molto estesa rispetto al numero complessivo di abitanti, a causa della presenza di numerosi quartieri periferici sensibilmente distanti dal nucleo centrale storico cittadino».
Il dato di 1.100 km mi sembra esagerato e spropositato, forse si riferisce alla città metropolitana costituita da 14 Comuni. Per accertarmi del mio dubbio ho scoperto che Roma con una superficie di 1.285 km2 ha 800 km di strade, mentre Bari ne avrebbe 1.100 km su una superficie di soli 117 km2. Pertanto mi prendo l’arbitrio di accogliere la cifra 1.100 ma di eliminare uno zero e accettare un valore di 110 km che appare più verosimile poiché porta ad una incidenza di 0,94 km di strada ogni chilometro quadrato, contro 0,62 di Roma. Valori un po’ diversi tra loro, ma dello stesso ordine di grandezza, considerato che Roma ha un immenso patrimonio di parchi e spazi verdi, mentre Bari ha a suo tempo edificato l’edificabile, dilagando verso l’interno con nuovi quartieri.
Ammettendo che la rete viaria urbana delle città e delle frazioni rappresenti 80% del totale, il valore che ne risulta di 88 km di strade urbane si presta ad una interessante esercitazione. Non è una stima, ma una approssimativa valutazione di ordine di grandezza del fenomeno mobilità, anzi immobilità veicolare.
Ammettendo che in ogni strada della città le auto possano posteggiare su un solo lato e che nel 40% dei casi la possibilità di posteggio sia estesa anche al lato opposto, abbiamo un totale di strade parcheggiabili di 1,4 x 88, cioè 123 km. Con tutte le possibili condizioni contrarie, riduciamo il valore in via cautelativa a 100 km di parcheggio lineare, saturo di auto in ogni momento dell’anno, con una pausa liberatoria soltanto nella decade di Ferragosto.
Questo filare continuo ed ininterrotto di auto rappresenta un fattore di inquinamento notevole ed in estate diventa un corpo assorbente di radiazione solare: una sorta di gigantesco termosifone che contribuisce non poco alle temperature estreme che stiamo registrando e soffrendo negli ultimi tempi. Se al numero di vetture corrispondenti (calcolando un ingombro di 6 metri per vettura, interspazio compreso, ne possiamo valutare 16.600: sono le auto dei residenti) si aggiunge il numero di quelle che ogni giorno vengono in città dalla provincia e quelle che, per loro fortuna, stanno parcheggiate in appositi spazi e non sul bordo strada, una pletora di autovetture di ogni marca ed età, si raggiunge un totale di 20.000. Questo valore può essere assunto come il responsabile del flusso continuo che occupa ed intasa le strade, con un livello sonoro insopportabile e con una circolazione che non è un flusso ordinato, ma un lento movimento a singhiozzo, sottolineato dall’uso spesso eccessivo di clacson: molto ridotto rispetto al passato, ma ancora consistente e fastidioso. Facendo uso di protesi auricolare per attenuare una certa sordità, percepisco l’eco di fondo come una valanga sonora continua ed ininterrotta, che aumenta ogni qualvolta una auto si approssima.
Il numero di autovetture si è accresciuto a dismisura, sono cresciute di dimensioni di ingombro, di cilindrata, di consumo, di costo. Una vettura di prestigio oggi costa come un appartamentino di tre vani, ma certo consente di esercitare la fondamentale funzione cui tali vetture sono finalizzate: apparire ed, in secondo luogo, far rosicare. Le utopie di trent’anni fa di eliminare la circolazione di auto, si è miseramente infranta nel fenomeno opposto che ovviamente ha i suoi costi ambientali.
In tema di mobilità Bari potrebbe essere la città ideale per la bicicletta, essendo di fatto pianeggiante e con minimi dislivelli. Con il clima di cui godiamo, senza renderci conto di quanto la buona sorte ci ha voluto favorire, la bicicletta sarebbe la soluzione ideale. La realtà è quella di in flusso veicolare di cui ho già parlato, cui si aggiunge quello dei monopattini elettrici, presenti ovunque e senza alcun rispetto per sensi unici, vietati, zone pedonali e simili. Un piccolo flusso parallelo, che costringe a essere sempre attento poiché il rischio di essere investiti non è certo trascurabile.
In queste condizioni mi chiedo che senso ha di parlare di sostenibilità, parola diventata l’ombrello sotto cui si raccolgono le realtà più disparate di attività, azioni ed interventi, spesso ad elevato impatto; essa è divenuta l’equivalente dell’aggettivo ecologico entrato nel parlare abituale molti decenni addietro. Se la sostenibilità è un atto di generosità tra generazioni, con cui quelle presenti si adoperano per lasciare a quelle che verranno beni e risorse risparmiate e, meglio ancora, intatte e migliorate, di tutto si può parlare per la mobilità tranne che di sostenibilità. Direi che si dovrebbe guardare in faccia la realtà e rendersi conto che stiamo logorando oltre misura l’ambiente urbano, con polveri ed emissioni solide e gassose di vario tipo, che rendono inabitabili i piani bassi dei fabbricati, in cui aprire una finestra per il ricambio d’aria è un gesto coraggioso da fare la mattina presto, quando termina la movida in certi quartieri.
La presunta alternativa delle vetture elettriche mi sembra non adeguatamente chiara e definita nei suoi pro e contro: di certo evitiamo rumori ed emissioni, ma consumiamo energia elettrica che pur sempre dobbiamo produrre. Di fatto non abbiamo la miriade di fonti diffuse e puntuali di inquinamento, ma fonti concentrate e di grandi dimensioni di inquinamento localizzato. Non sappiamo ancora come smaltire le auto elettriche vecchie e soprattutto le batterie, sul cui grado di pericolosità in termini di inquinamento circolano poche e confuse informazioni. Le auto elettriche dovrebbero sostituire quelle alimentate con derivati degli idrocarburi, ma aprono tanti interrogativi, per esempio: che fare se si rimane senza carica sufficiente delle batterie in mezzo ad una strada? Chi e come può prestare soccorso? Una autonomia di meno di 700 km non è troppo modesta?
Termino questa breve nota con una constatazione: si parla ormai come di una realtà prossima a realizzarsi di taxi volanti ed auto volanti. Mi auguro che oltre all’intasamento delle strade della città, non ci sia un equivalente traffico volante, parallelo e simile a quello delle moto d’acqua, utilizzate e amate da soggetti con particolari caratteristiche antropologiche, comportamentali e sociali. Ritengo che per ragioni anagrafiche non arriverò a vedere questa nuova realtà, ma temo che possa essere simile alla diffusione continua e crescente della circolazione automobilistica; auguri quindi a chi potrà vedere l’effetto che fa.
Ultima considerazione: ho inquinato è vero, ma non ho mai fatto un incidente, però la società di assicurazione di cui sono cliente da 56 anni, da quando avevo una Vespa, non mi ha mai festeggiato come utente emerito…
Vittorio Leone