Mangiare meno carne per prevenire i disastri climatici

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angiare meno carne bovina riduce i rischi cardiovascolari e di alcuni tipi di tumori

La dieta nei paesi industrializzati è troppo ricca di carne, la cui produzione sta provocando una rapida crescita delle emissioni di un potente gas a effetto serra: il protossido di azoto. Bisogna ridurre il consumo del 50% di carne bovina entro i prossimi quarant’anni per evitare le peggiori conseguenze dei cambiamenti climatici. Questo è, in sintesi, la conclusione di uno studio effettuato da un centro di ricerca di ecologia agraria e forestale americano: il «Massachusetts Woods Hole Research Center», pubblicato recentemente on-line su Environmental Research Letters.

Lo studio esamina l’impatto dell’agricoltura sui cambiamenti del clima e mostra che le pratiche agronomiche normalmente utilizzate producono una rilevante quantità di emissioni, non tanto e non solo a causa dell’uso di combustibili fossili nelle macchine e nelle attrezzature agricole, quanto soprattutto a causa dell’uso eccessivo di fertilizzanti e antiparassitari. I fertilizzanti azotati, in particolare, emettono protossido d’azoto un gas serra che ha un potere climalterante di ben 298 volte superiore a quello dell’anidride carbonica. Una parte di questa agricoltura, però, non serve per produrre cibo, ma per produrre foraggio destinato all’allevamento del bestiame e in particolare di bovini.

I bovini, animali erbivori e che nel corso della loro vita mangiano l’equivalente di qualche ettaro coltivato a foraggio, diventano, ovviamente, grandi concentratori di emissioni di protossido di azoto. E non è finita. Durante l’allevamento, per la loro natura di ruminanti, i bovini sono anche responsabili delle emissioni di metano, un altro gas serra che ha un potere climalterante 23 volte superiore a quello dell’anidride carbonica.

Insomma, per ottenere una bistecca di bovino sulla nostra tavola sono state emesse alla fine una quantità totale di gas serra che può risultare, in relazione al tipo di allevamento e all’età del bovino, da 20 fino a 100 volte superiori alle quantità di gas serra emesse per ottenere, per esempio, un piatto di pasta asciutta di pari peso. Se, poi, il confronto si fa rispetto ad un pasto completamente vegetariano di pari peso, le emissioni associate a una bistecca di bovino sono incomparabilmente superiori. Meno impattante della carne bovina è la carne di maiale, un animale piuttosto onnivoro e che non ha bisogno di coltivazioni di foraggio. Ma, ancora meno impattante sul clima è la carne di pollo, anche per i brevi tempi di allevamento del pollame.

Ridurre, tuttavia, le emissioni di gas serra del settore agroalimentare sarà molto difficile se bisognerà sfamare sette miliardi di persone in una situazione, come quella attuale, in cui circa un miliardo di persone soffre di malnutrizione e di fame. Ridurle in futuro diventerà praticamente impossibile, senza modificare radicalmente le attuali pratiche agricole e le attuali abitudini alimentari dei paesi più ricchi, perché in futuro l’agricoltura dovrà espandersi di molto se bisognerà sfamare i nove miliardi di persone che popoleranno il nostro pianeta nel 2050.

Sarà, invece possibile, raggiungere l’obiettivo della riduzione delle emissioni di gas serra dal settore agroalimentare, se si punta decisamente al dimezzamento, entro il 2050, delle emissioni di protossido di azoto che è il più potente dei gas serra provenienti dal settore agricolo. Questo implica, non solo l’uso di pratiche agronomiche che riducano drasticamente l’uso di fertilizzanti azotati, ma anche un cambiamento delle pratiche agronomiche in modo tale che i fertilizzati siano usati con la massima efficienza e che, nel contempo, le inevitabili emissioni di protossido di azoto siano neutralizzate.

Tra i vari scenari esaminati dallo studio americano, la soluzione migliore è quella di cambiare le abitudini alimentari dei paesi industrializzati, giacché non si può impedire ai popoli più poveri di avere un’alimentazione più ricca di calorie e di proteine animali. Pertanto, va ridotto del 50%, rispetto alla situazione attuale, il consumo pro-capite di carne, principalmente bovina, nei paesi industrializzati. Questa è la via maestra affinché il settore agroalimentare sia in grado di ridurre le proprie emissioni, senza, per questo, compromettere la necessità di espandere la produzione di cibo per soddisfare le necessità alimentari di nove miliardi di persone previste al 2050.

Tagliare del 50% il consumo di carne nei paesi industrializzati non è solo una misura utile per mitigare i cambiamenti del clima e per ridurre le conseguenze negative dei cambiamenti climatici, ma è anche una misura utile per la salute umana. Mangiare meno carne bovina sostituendola, per esempio, col pollame, col pesce o con i legumi, riduce i rischi cardiovascolari e di alcuni tipi di tumori dell’apparato digerente, come ha confermato una recente ricerca della Harvard School of Public Health pubblicata il 12 marzo scorso.

«Per combattere i cambiamenti del clima e per mantenersi in buona salute con una dieta equilibrata, non c’è niente di meglio che la dieta mediterranea, un esempio di dieta sostenibile fondata su una varietà di prodotti locali e stagionali», ha commentato Massimo Iannetta direttore dell’Unità dell’Enea: «Sviluppo sostenibile e innovazione del sistema agro-industriale». Ed è opportuno ricordare che la dieta mediterranea è stata riconosciuta come patrimonio immateriale dell’umanità.

(Fonte Enea Eai)