La Natura è sempre cenerentola per i politici

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Una ricchezza culturale e paesaggistica che ci ha fatto grandi nel passato. La recessione degli anni Trenta negli Usa venne sconfitta anche impiegando tutti i giovani nelle attività a favore dell’ambiente e della natura

Chi è impegnato seriamente nelle battaglie ecologiche e ambientali dovrebbe evitare sempre, per quanto possibile, di finire impastoiato nelle maglie della politica di stampo e livello partitico. Difendere il paesaggio costituisce una priorità nazionale, è sancito anche nella Costituzione. E salvare la natura è interesse di tutti, o no? Occorre avere una visione chiara e una missione ben definita, esprimere valutazioni di interesse generale e definire programmi condivisi almeno dalla maggioranza dei cittadini.

Eppure il livello della percezione sociale e dell’autonomia di giudizio è ancora ben lontano da quello che la difficile situazione esigerebbe. A parole, tutti proclamano grande sensibilità ecologica, ma nei fatti molti si comportano abbastanza diversamente. Le prove sono molte, e meritano di essere illustrate.

Anzitutto, da qualche anno a questa parte i temi ambientali sono stati relegati in un angolo come secondari, la tensione sociale per la difesa del territorio si è dissolta, le buone leggi vengono disapplicate e se ne varano di segno contrario, la stampa appare paurosamente distratta e la gente sempre più rassegnata e passiva. Anzi, per poco non veniva soppresso il ministero dell’Ambiente, il quale del resto, con il suo operato, aveva fatto di tutto per meritarselo. Gli assessorati all’ambiente, regionali o comunali, sono stati spesso occupati da personaggi e interessi in nome della cosiddetta «strategia del cavallo di Troia»: non per tutelare, ma per consumare il territorio, rapinare le risorse naturali e cementificare a ritmo sostenuto, nell’interesse di pochi.

In fondo, la cosiddetta economia ecologica è ormai dimenticata, anche perché nella pseudocultura dominante non c’è comprensione per principi fondamentali come: equilibrio ecologico, sviluppo sostenibile, attività compatibili, sfruttamento durevole delle risorse… In un Paese ormai allo sbando, dove la pressione fiscale tocca primati mondiali, e continua a salire, non si doveva puntare su grandi opere pubbliche e spese militari, né era giusto tollerare anarchia edilizia, strapotere petroliero e disordine sanitario: e tantomeno aveva senso disintegrare scuola, università e ricerca. Contro la crisi e la recessione, soluzioni efficaci non sarebbero mancate: rilancio dell’agricoltura sana e promozione del lavoro per i giovani, defiscalizzazione delle attività di tutela del patrimonio ambientale, dalle città d’arte ai borghi medievali, rivalutazione della cultura in ogni sua forma ed espressione.

Anche se nel mondo la logica della rapina della natura in nome del massimo guadagno, tutto e subito, sembra prevalere, l’incoscienza dell’Italia dove si concentra oltre metà del patrimonio storico, artistico e architettonico mondiale non cessa di stupire gli stranieri ancora svegli e pensanti. E la loro domanda ricorrente è perché? Come mai un Paese di antiche tradizioni, che ha prodotto musica straordinaria e grande letteratura, eccezionali scoperte e invenzioni uniche, appare oggi quasi marcescente e non vede dove sta precipitando? Chi lo ha drogato, stordito, ingessato mentalmente?

Forse la risposta a questi interrogativi è insita nel nuovo Manifesto per la costituente della cultura, già sottoscritto da numerosi intellettuali: «Noi, analfabeti seduti su un tesoro». Noi italiani, «brava gente», sapremo magari leggere e scrivere, ma soffriamo di un male peggiore, noto a livello internazionale come «analfabetismo funzionale» (functional illiteracy): non vediamo né custodiamo per il futuro i nostri beni più preziosi. Anzi, ci affanniamo piuttosto a svenderli e a distruggerli. Eppure è chiaro che continuare su questa strada significherà soltanto andare verso il declino. Forse è giunto il momento di aprire gli occhi e rimboccarsi le maniche, per avviarsi sulla via della conoscenza e della salvaguardia del nostro vero tesoro.

L’armata degli alberi

Dall’ultimo dopoguerra in poi, l’Italia ha sempre imitato il modello degli Stati Uniti d’America: traendone alcune cose buone e magari altre assai meno buone, ma certamente non riuscendo ad assimilare i valori fondamentali che hanno fatto grande quel Paese. Come il senso del bene collettivo, l’unità nei momenti difficili, lo spirito di innovazione, l’impegno per la missione civile, e la sacralità della memoria storica, del patrimonio naturale e dei parchi nazionali.

Quando la Grande Recessione degli anni Trenta colpì gli Stati Uniti, molti furono gli interventi del Presidente Franklin Delano Roosevelt per contrastare la drammatica crisi economica, sociale e politica che stava trascinando nel baratro la giovane nazione. Non si rivolse soltanto a istituzioni, finanzieri, banche e centri di potere, ma soprattutto alla gente, a quello che lui definiva «The forgotten man», il cittadino dimenticato. E certamente uno dei successi maggiori venne dalla creazione, nel 1933, dei CCC (Civilian Conservation Corps, ovvero Corpi Civili di Conservazione), denominati anche «Tree Army», e cioè Esercito degli Alberi. Un programma che avrebbe avuto lunga durata, producendo notevoli effetti e formando intere generazioni di nuovi americani.

Il fatto più notevole fu che il Presidente, trovandosi di fronte a due diversi problemi apparentemente insolubili, seppe fonderli positivamente, in modo da trasformarli in una vera e propria risorsa. Da una parte, c’erano milioni di giovani disoccupati, espulsi sul lastrico senza speranze né risorse. Dall’altra, le abbondanti ricchezze naturali del Paese, ormai abbandonate, finivano depredate dalla gente disperata, senza che si potesse impedirlo. Il nuovo servizio civile, realizzato in tempi brevissimi, ebbe l’effetto di avviare a soluzione entrambi i problemi. I giovani, riuniti in gruppi di varia provenienza e ospitati in rifugi e accampamenti nelle zone ove erano necessari interventi urgenti, vissero una straordinaria esperienza proteggendo le foreste e la fauna, regimando le acque e controllando l’erosione, assistendo i parchi e collaborando al restauro storico, o prestando soccorso in caso di calamità, e mille altri servizi. Vita di campo e formazione professionale, educazione civica e coesione sociale fecero crescere in pochi anni una gioventù sana e motivata, lontana dallo squallore della crisi e delle periferie, e ricca di energie per tornare a sostenere il Paese. E l’America ne trasse, con spesa limitatissima, enormi benefici.

Anche l’Italia avrebbe oggi urgente e intenso bisogno di un suo nuovo «esercito degli alberi», convinto e preparato, mobilitato per la salvezza del nostro patrimonio più prezioso: territorio e acque, foreste e praterie, colline e montagne, litorali e piccole isole, antichità e monumenti, arte e cultura, storia e folklore, parchi verdi e blu, campagna e paesaggio. Creare un vero servizio civile ben organizzato per accogliere i giovani senza occupazione, e farli vivere insieme all’aperto, sarebbe la terapia migliore contro ogni male oscuro, allontanerebbe da ozio, droga, vizi e insoddisfazione, assicurerebbe non solo sopravvivenza dignitosa ma anche dignità e formazione, offrendo un sicuro tirocinio e titoli sufficienti per il successivo ingresso nel mondo del lavoro. Ma risulta che qualcuno stia occupandosi di questo? Sarà già in preparazione qualche provvedimento concreto da attuare nella prossima estate? Vedremo presto in giro meno sconforto e molti giovani in movimento nelle attività più diverse? Forse, chissà, eventualmente: ma lasciatecene dubitare. Per il momento, le menti dei nostri connazionali sembrano sempre più distratte e vagolanti, e il pensiero remoto di chi dovrebbe prevedere, intuire, orientare e decidere appare sempre più lontano dall’ecologia, dal lavoro con la terra e con la natura, e dal contatto reale con «The forgotten young-people», la gioventù dimenticata. E l’Italia, si sa, non è l’America.

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Nella foto del titolo un Tempio di Agrigento e un Olivo ultrasecolare, assediati da costruzioni abusive che non mostriamo per carità di patria