Rischio geo-idrologico, i danni e dove intervenire subito

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Maltempo e alluvione, allerta rossa in Romagna e nel Bolognese
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Intervista ad Antonello Fiore, presidente Sigea

֎Questa è la terza legislatura parlamentare in cui si parla di una Legge nazionale e non si fa nulla e mi chiedo come i parlamentari, sapendo quello che di fatto non hanno fatto, con quale stato d’animo commentano i fatti di attualità accaduti֎

Quello a cui si è assistito nell’ultimi 16 mesi in Emilia Romagna è qualcosa a cui non si era abituati, tre eventi alluvionali con quantitativi di pioggia con picchi nel settembre del 2024 perfino superiori agli eventi del 2023 che mandano in soffitta il termine eventi eccezionali, perché di eccezionale non c’è ormai più nulla. Chi analizza le serie storiche dei dati climatici, per la climatologia si deve prendere in considerazione almeno un periodo di 30 anni di osservazione, conferma che il regime pluviometrico sta cambiando, meno piogge verificate nell’arco dell’anno e più piogge brevi ed intense e il tutto accompagnato da temperature dell’aria e dei mari in continuo aumento. Una situazione che porta con sé ricadute importanti sul territorio dove si continuano a contare un numero sempre maggiore di sfollati, attività economiche in ginocchio. Ed è disponibile il rapporto preliminare, realizzato dal Centro funzionale regionale dell’Agenzia prevenzione ambiente energia dell’Emilia Romagna (Arpae) -Struttura IdroMeteoClima in collaborazione con l’Area geologia suoli e sismica della regione Emilia Romagna, di analisi delle condizioni meteorologiche, dell’andamento idrologico e delle principali criticità idrogeologiche dell’evento meteo del 17-19 settembre.

Noi di «Villaggio Globale» abbiamo voluto fare qualche domanda ad Antonello Fiore, presidente della Società italiana di geologia ambientale (Sigea).

Quali sono le azioni compiute dall’uomo sul territorio che hanno amplificato gli effetti del cambiamento climatico in atto?

La trasformazione dei corsi d’acqua dal dopo guerra in poi con i fiumi che sono costretti a scorrere tra argini artificiali senza possibilità di divagazione, con un aumento della velocità delle acque che ha ridotto notevolmente la loro infiltrazione nel sottosuolo. Questo per urbanizzare sempre nuove aree sottoponendole a un rischio idraulico ben evidente. Fiumi pensili che sovrastano aree urbanizzate, corsi d’acqua tombinati con sopra strade, piazze, parcheggi ed edifici ponte. Utilizzazione intensiva del terreno a scopi agricoli che ha cancellato la rete minore di drenaggio delle acque. A questo bisogna poi aggiungere la forte crescita delle aree urbanizzate con consumo di suolo e crescita delle superfici impermeabili al posto di quelle permeabili. Sarà di prossima uscita il Rapporto dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) sul Consumo di suolo, e posso anticipare che, durante un convegno tenutosi di recente durante la manifestazione RemTech a Ferrara, il Presidente dell’Ispra ha anticipato che nulla è cambiato in termini di consumo di suolo rispetto al 2022 confermando un consumo di suolo che avviene ad una velocità di più di 2 mq al secondo. E questo è un dato chiave, il consumo di suolo va azzerato. Questa è la terza legislatura parlamentare in cui si parla di una Legge nazionale e non si fa nulla e mi chiedo come i parlamentari, sapendo quello che di fatto non hanno fatto, con quale stato d’animo commentano i fatti di attualità accaduti. Bisogna prevedere l’invarianza idraulica e incentivare il ripristino delle aree permeabili. Altro elemento da non sottovalutare è l’abbandono delle aree collinari e montane con conseguente aumento di fenomeni franosi che aumentano il trasporto solido dei corsi d’acqua a valle che si traduce nel fango che vediamo nelle città invase dall’acqua.

Ma allora cosa bisogna fare?

Per prima cosa non bisogna dare retta ai politici che non hanno mai fatto un esame di geomorfologia, non hanno mai letto un rapporto del Centro italiano per la riqualificazione fluviale, non hanno mai letto uno studio che loro stessi hanno commissionato all’università o ad altri Enti pubblici di ricerca. Di recente un neo europarlamentare «graduato» ha rilasciato dichiarazione ai media con una serie di imprecisioni da far impallidire all’istante una dozzina di ingegneri idraulici e geologi.

Non ci sono soluzioni uniche per tutto il territorio nazionale e neanche per tutto il territorio regionale, è bene ritornare al concetto di bacino idrografico definito dalla Legge 183/89

che recita «il territorio dal quale le acque pluviali o di fusione delle nevi e dei ghiacciai, defluendo in superficie, si raccolgono in un determinato corso d’acqua direttamente o a mezzo di affluenti».

Aumentare la consapevolezza e l’autoprotezione. Possiamo solo dire bravi agli amministratori dei Comuni interessati da questo ultimo evento e alla Regione Emilia Romagna perché in questo evento ci sono state zero vittime a differenza delle alluvioni precedenti. In caso di allerta, evitare di andare in giro, stare lontano da argini e ponti e anche da sottopassi e da vani interrati e salire ai piani alti, questo è l’abc per salvarci la vita!

Individuare dai Piani di assetto idrogeologico esistenti e redatti dalle Autorità di bacino le gravi criticità e su quelle intervenire nel breve e nel lungo periodo. Un esempio di criticità da correggere nell’immediato si concentra sugli argini da rinforzare e sui tratti tombinati da liberare.

Aumentare le aree che riducono le piene a valle, con invasi montani, dove è geologicamente possibile, e aree di espansione dei fiumi con esondazioni controllate perché di fatto è meglio un campo allagato che una città, una fabbrica o una stalla inondate e questo andando ovviamente a risarcire l’eventuale mancato reddito degli imprenditori agricoli che hanno avuto danni.

Incentivare le attività nelle aree collinari e montane dove intervenire con l’ingegneria naturalistica.

Manutenere costantemente i corsi d’acqua, che non significa rimuovere la vegetazione ripariale delle sponde che ha una funzione importante ossia quella di rallentare la velocità delle acque, acque veloci che sono in grado di erodere con più forza e di cambiare con difficoltà la propria direzione, tracimando. Bisogna rimuove e allontanare dagli alvei il materiale secco, il materiale che riduce la luce sotto i ponti, o che si trova nell’alveo del fiume.

Nel rischio sismico ormai è passato un concetto che non è possibile la ricostruzione «Dov’era, com’era» e credo che debba essere accettato anche per il rischio geo-idrologico. Infrastrutture non sicure che difficilmente possono essere messe in sicurezza vanno delocalizzate.

Ci vuole coraggio politico e non solo il make-up per andare in TV. Purtroppo — conclude Fiore — quello che è mancato negli anni e che non potrà essere recuperato nel breve tempo e senza investimenti importanti è stata la prevenzione dai pericoli naturali.

Mentre la conoscenza di questi pericoli è andata avanti con ottime analisi, la pianificazione non ne ha sempre tenuto conto, e oggi abbiamo in pianura aree urbanizzate sottoposte al livello di fiumi arginati e pensili.

Il cambiamento dell’uso del suolo, l’abbandono delle aree collinari, il consumo di suolo con l’impermeabilizzazione, la mancata prevenzione, la mancata pianificazione, che non ha tenuto conto delle dinamiche naturali difficilmente contrastabili, sono tutti amplificatori degli effetti della crisi climatica sull’economia e sul sistema sociale.

 

Elsa Sciancalepore