Sull’episodio del bombardamento del porto di Bari del 2 dicembre 1943, un giovane storico americano, Curtis B. Maynard, ci ha inviato i primi capitoli di una sua recente ricerca tendente ad approfondire gli aspetti militari della segretezza e delle guerre chimiche in generale
Il tratto di mare del basso Adriatico, fra la Puglia e l’Albania, la Croazia e il Montenegro, rappresenta un’area ad alto tasso d’inquinamento di prodotti chimici ad… orologeria. Si tratta delle conseguenze del bombardamento del 2 dicembre 1943 da parte dell’aviazione tedesca contro diciassette navi americane che erano ancorate nel porto di Bari. Fra queste c’era la «John Harvey» che conteneva bombe all’iprite. Il disastro fu grande, con oltre un migliaio di morti e un numero imprecisato di feriti se si vogliono considerare i danni che nel tempo ha prodotto questo prodotto chimico.
La situazione è lontana dal considerarsi risolta perché l’area non è stata mai bonificata radicalmente e anzi si è aggravata con altre sostanze dopo i recenti bombardamenti dell’ex Jugoslavia a causa della guerra serbo-croata. Infatti i bombardieri hanno rilasciato in mare una serie imprecisata di ordigni.
E senza considerare vecchie carrette del mare lasciate affondare di proposito con il loro carico velenoso.
Sull’episodio del bombardamento del porto di Bari un giovane storico americano, Curtis B. Maynard, ci ha inviato i primi capitoli di una sua recente ricerca tendente ad approfondire gli aspetti militari della segretezza e delle guerre chimiche in generale. Il lavoro porta nuovi dati e ipotesi storiche su quell’episodio ancora poco chiaro per molti aspetti e che la gran parte degli americani ignora.
(09 Agosto 2005)