…oggi, con il suo sostanziale «stare in difesa», non può rischiare, giorno dopo giorno, di favorire fenomeni di riflusso, verso il privato, delle sue componenti, che si presentano oggi, meno preparate o con maggiori difficoltà nella gestione della propria libertà ed autonomia
( Tossicologo e analista ambientale )
Ma se questo è il quadro dei segnali che la natura ci offre e che noi possiamo spendere nello scenario del «fare», c’è un particolare senso delle cose anche nello scenario del «pensare». Un senso che ci viene comunicato dai fenomeni coinvolti nella ricerca della nostra identità e delle relazioni con gli altri. Si tratta di due scenari complementari che intervengono sulla qualità delle sinergie in gioco nei diversi momenti della progettazione e realizzazione del nostro futuro. Nello scenario del «pensare» i fenomeni interessati, pur se connessi con le realtà fisiche dei contesti, sono fortemente determinati dal mondo delle esperienze umane, da quel vissuto personale e collettivo che si esprime in termini di motivazioni, di idee e convinzioni, di competenze e professionalità, di determinazione ad operare, di efficacia della comunicazione, di capacità organizzative e di realizzazione di interventi finalizzati, di spirito critico e costruttivo. Si tratta anche di un mondo di contraddizioni, di conoscenze imperfette, di alienazioni che può essere affrontato solo nel «migliore dei modi» che riusciamo a procurarci, mentre siamo rincorsi dalle angosce del riuscire e del riuscire bene, dalla fretta di arrivare, dai dubbi delle verifiche, dai problemi della gestione delle risorse e dei vincoli… Tutto un mondo nel quale non possiamo però correre il rischio di lasciarci tormentare da «ciò che manca», quando invece possiamo provare il piacere del «che cosa fare».
Almeno per ora non abbiamo altro modo per affrontare, senza rimanere paralizzati, l’irriducibile complessità delle situazioni che ci spetta vivere in questo nostro mondo. Chiediamoci allora che cosa possiamo fare per favorire la fertilità dei comportamenti virtuosi che la nostra forte e diffusa sensibilità verso le questioni ambientali vorrebbe vedere realizzata. Certo, ciascuno di noi ha le sue buone risposte, ma ora, forse, è necessario che ci impegniamo anche a costruire quelle risposte che oltre alla coerenza, chiarezza, correttezza e compiutezza delle proposizioni e delle idee fondamentali, che ispirano ciascuno di noi, abbiano anche il dono di una provata efficacia per tutti.
Questo tipo di riflessione deve essere promosso anche all’interno di quel meritevole movimento ambientalista che ha assolto, nel recente passato, al compito di sensibilizzare le nostre coscienze verso i problemi della sopravvivenza sulla Terra, generati da uno sviluppo incontrollato delle attività antropiche. In questa azione, l’«ambientalismo» ha avuto modo di manifestare la forza di una diffusa partecipazione, ma anche la debolezza intrinseca di un movimento nato, in gran parte, su spinte emotive e che, poi, ha incontrato oggettive difficoltà nel cercare di passare a fasi successive: non c’è stata un’ampia risposta alla necessità di formare buone competenze e di organizzare contesti operativi strutturati per promuovere dialoghi e crescita di consapevolezze. Sono mancate le risposte, che il movimento ambientalista poteva fornire, alle domande specifiche orientate a definire e affrontare non solo i problemi concreti di un territorio, ma anche quelli più carichi di valori del vissuto, della propria identità, delle proprie esperienze e quelli della cultura e dell’impegno condiviso con altri. All’interno di questo movimento, pur se in esiguo numero,
vi sono oggi buone e significative esperienze in questa direzione. Rimane, tuttavia, il problema dello scarso incremento e disponibilità di quella massa critica di argomentazioni coerenti, chiare, compiute e soprattutto sperimentate in situazioni reali e globali, che permette di essere presenti ed ascoltati nella platea «accreditata» dei media.
L’«arcipelago verde» non paga in termini di possibilità di costruire programmi politici ben strutturati, con un corredo di pensieri e di prove che fondano e rendono comunicabile e credibile le proposte di intervento sul concreto dei problemi quotidiani. Non si può rimanere in una condizione di eterno «brainstorming»: è anche indispensabile testimoniare, sul campo, la bontà di quelle mentalità e comportamenti che sono capaci di trasformare le buone idee (da vivere individualmente in termini di autonomia di giudizio, di crescita delle consapevolezze e di senso di responsabilità) in una provata ed efficace pratica di vita sociale e di integrazione delle risorse individuali, per produrre sinergie ed equilibri vitali. L’ambientalismo, oggi, con il suo sostanziale «stare in difesa», non può rischiare, giorno dopo giorno, di favorire fenomeni di riflusso, verso il privato, delle sue componenti, che si presentano oggi, meno preparate o con maggiori difficoltà nella gestione della propria libertà ed autonomia; non può rischiare ancora di essere smontato, della sua carica valoriale, per essere ricomposto ad arte e quindi strumentalizzato per sostenere tutto ed il contrario di tutto, anche secondo impresentabili convenienze.
L’ambientalismo deve, e può, compiere la sua trasformazione da sottoprodotto romantico, di un’epoca che ha creato, forse, anche troppe ingenue attese verso un mondo migliore, in progetto globale di integrazione sinergica delle risorse per un «agire localmente, pensare globalmente» come ben recitava una storica «parola d’ordine» dell’ambientalismo degli anni 90 del secolo scorso.
L’ambientalismo deve impegnarsi, con determinazione e competenza, a restituire al termine «globale» il suo senso culturale originale, sollevandolo dalla farsesca condizione di etichetta «clonata» da ben altro contesto e ridotta ad immagine impropria di un consumo in serie e senza identità. Va risolto, con chiarezza e determinazione, il nodo tragicomico della storia di un sistema di distribuzione di beni e servizi, il mercato, utile solo in quanto tale, che insiste ottusamente nel cercare di nobilitare la sua esistenza sottraendo, al linguaggio umano, aggettivi pregnanti (globale, per esempio) e illudendosi così di poter implementare i relativi valori, in un’insensata icona pubblicitaria.
L’ambientalismo non è una fede e non è neanche un partito, la sua natura è tutt’altro: è espressione di diversità, di professionalità e competenza civile da parte di tutti i cittadini; è manifestazione di un sentirsi elementi liberi, ma responsabili, di un tutto che non può permettersi, con indifferenza, di lasciare nulla di quel poco che la complessità dei fenomeni naturali, permette di capire.
Per questi motivi, ma soprattutto per tanti altri che ciascuno di noi può avere il piacere di continuare ad esprimere, l’ambientalismo non può rischiare di esaurirsi in «un interesse senza progetto».