Quarant’anni fa, il 4 novembre del 1966, una tragica alluvione colpì violentemente molte città italiane. Con soli tre giorni di pioggia battente causati da un eccezionale evento meteorologico molti fiumi strariparono e una terribile alluvione si abbatté su molte città situate sul mare e ai margini dei corsi d’acqua, prime fra tutte Firenze e Venezia.
Ingenti i danni, sia dal punto di vista economico che da quello di perdite di vite umane. Le città colpite, totalmente impreparate ad affrontare un simile evento, rimasero assediate dal fango e dall’acqua per ore, in alcuni casi per giorni.
Oggi nel 40 anniversario di questi tragici eventi occorrerebbe domandarsi se gli interventi fatti sui nostri fiumi in nome della riduzione del rischio idraulico siano realmente in grado di tutelarci dal ripetersi di una simile situazione.
Questo è un qualificato commento sull’alluvione dell’Arno: «…una legittima vendetta del fiume; l’imprevidenza dell’uomo aveva fatto il possibile per portar via all’Arno una striscia del suo giusto e necessario letto, pretendendo di obbligarlo a camminare per una fossa angusta e strozzata… Ma l’Arno seppe vendicarsi ed armata mano ricuperare il suo necessario letto…».
Sembra un estratto di articolo di un moderno commentatore, invece così scriveva nel 1797 G. Tarzoni Tozzetti al Granduca di Toscana, relativamente alla disastrosa piena dell’Arno del 1333. Ma i problemi delle esondazioni dei fiumi, nei tempi moderni non si sono risolti, anzi nella maggior parte dei casi si sono aggravati.
Il Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale (Cirf) ritiene che la strada percorsa sino ad oggi in nome della sicurezza idraulica, paradossalmente, abbia portato al risultato opposto. Infatti ogni anno il Paese si trova ad affrontare situazioni di estrema criticità dei corsi d’acqua, che vengono ancora oggi affrontate «in emergenza», senza cioè agire sulle cause del problema, lasciando di fatto irrisolta la problematica alluvioni.
L’approccio «classico», ispirato all’idea di contenere le piene entro stretti argini e allontanare l’acqua il più in fretta possibile, ha dimostrato di non essere sostenibile. Al contrario, le «soluzioni» da esso suggerite hanno aggravato la situazione. Il corso d’acqua è così divenuto ancor di più fattore di rischio.
Nell’illusione di risolvere il problema delle esondazioni, i corsi d’acqua sono stati pesantemente artificializzati: il loro alveo è stato spesso rettificato e reso più liscio attraverso l’eliminazione di potenziali ostacoli (ad esempio la vegetazione o la diversità morfologica del fondo e delle sponde).
Allo stesso tempo, per guadagnar spazio per le attività antropiche, la larghezza dei corsi d’acqua è stata via via ridotta mediante la realizzazione di argini, che si trovano ora a far defluire gli stessi volumi d’acqua del passato (se non maggiori) attraverso sezioni più strette che si sviluppano verso l’alto e verso il basso (forte incisione del fondo), e che richiedono ancor più una continua eliminazione degli elementi che rallentano i deflussi.
Un alveo più liscio e più dritto, però, pur facendo fluire l’acqua più velocemente fornisce generalmente benefici solo a livello locale. Infatti, il rischio idraulico non viene «eliminato», ma solamente «spostato», aggravando
notevolmente la condizione dei centri abitati posti a valle, in un processo di «scaricabarile» progressivo.
Inoltre, a causa della presenza degli argini, si sono venute a creare, in prossimità del corso d’acqua, delle zone definite «sicure», perché percepite come a basso «rischio idraulico» in quanto «protette» dagli argini. Questi lembi di terreno sono quindi stati utilizzati non più solo per l’agricoltura ma anche per la costruzione di fabbricati sia produttivi sia abitativi, con la conseguenza che, in caso di rottura degli argini, o più semplicemente di una piena superiore a quella che essi possono contenere, i danni risulterebbero notevolmente maggiori rispetto all’esondazione nella stessa zona in una situazione antecedente la costruzione degli argini.
Convivere con il rischio idraulico
La direzione che il Cirf ritiene utile intraprendere per risolvere il problema delle alluvioni, richiede innanzitutto di comprendere che, per intervenire sui fiumi per affrontare il rischio idraulico, è fondamentale considerare e rispettare il loro funzionamento naturale, identificare le vere cause del rischio, come detto sopra spesso legate proprio all’antropizzazione dei terreni di esondazione e all’artificializzazione degli alvei (solo se non ci sono beni esposti al rischio… non c’è rischio), e tenere infine ben presenti gli effetti negativi (a scala di bacino) innescati dai nostri interventi.
È inoltre necessario comprendere come il rischio non sia mai totalmente eliminabile (non esiste la sicurezza assoluta) ma può solo essere gestito e limitato, anche imparando a conviverci. Il Cirf ritiene pertanto inutile continuare a inseguire l’illusione del «mettere in sicurezza» e l’idea di «fissare il fiume»: come dimostrato ormai da numerose esperienze internazionali, è molto più utile tentare di assecondare il più possibile le naturali dinamiche del fiume, perlomeno al di fuori dai centri abitati, limitandole solo dove non sono possibili altre soluzioni.
Difendere i fiumi per difendersi dai fiumi
In tale percorso risulta fondamentale, pertanto, acquisire la «rivoluzionaria» consapevolezza che dobbiamo «imparare a convivere con il rischio», trovando un nuovo equilibrio tra uomo e territorio.
Per ottenere tale risultato è necessario innanzitutto restituire spazio ai fiumi e recuperarne la naturalità come mezzo primario: in una frase, riqualificare i corsi d’acqua, per affrontare il problema delle alluvioni e del rischio idraulico, lavorando con la natura piuttosto che contro di essa.
Una riqualificazione fluviale così intesa persegue lo scopo di ottenere un fiume che pur mantenendo una buona qualità dell’ecosistema, si concili con le aspettative e gli interessi umani di fruizione e uso delle risorse, senza più essere un’imprevedibile minaccia per insediamenti, infrastrutture e vite umane. Tale strada, se pur oggi necessita di un cospicuo dispendio di energie per essere intrapresa, rappresenta senza dubbio il miglior investimento possibile per il futuro dei fiumi italiani e il Cirf la sta promuovendo da anni, insieme ad alcune lungimiranti Pubbliche Amministrazioni, che hanno dato fiducia a tale approccio.