Di qui la necessità della gestione più rispettosa e, al contempo, più consapevole ed efficiente dell’ambiente naturale, soprattutto attraverso la mitigazione dell’impatto delle attività umane, perché se non fossero ormai tanto impattanti la Natura sarebbe certamente bastevole a sé stessa, sopratutto in termini di «equilibrio dinamico» tra la componente abiotica o «biotopo» (terra, acqua, aria) e componente organica o «biocenosi» (piante e animali).
Abbiamo già accennato al fatto che per un più attento esame del territorio, insieme ad una valutazione dei livelli di salute ambientale, sono di grande aiuto gli Insetti, segnatamente quegli esapodi alati ed onnipresenti, generalmente chiamate «farfalle diurne».
Al contrario dei vertebrati che, come scrive Fabio Cassola, sono di solito relativamente longevi, vivono in un territorio spesso abbastanza vasto con una capacità riproduttiva piuttosto bassa, unita ad una specificità ambientale quasi del tutto assente, i lepidotteri diurni sono considerati degli ottimi indicatori ambientali perché stiamo parlando di numerose specie molto selettive e poco adattabili, dotate di una percezione dell’ambiente molto dettagliata (in ecologia, percezione «fine grained» dell’ambiente), di contro a pochissime specie molto adattabili e ubiquitarie, e che quindi spesso connotano habitat più antropizzati e degradati.
Oltre a queste caratteristiche fondamentali, i lepidotteri diurni sono molto utili per la bioindicazione in quanto, tra gli esapodi alati, sono tra i più appariscenti, facili da osservare e identificare, come anche da campionare e classificare, a tal punto che la loro presenza (o assenza) risponde in modo chiaro, utilmente decifrabile, alle modificazioni dell’ambiente, sia che vengano da cause antropiche o da altri fattori biotici o abiotici.
Periodiche e costanti ricerche in corso di svolgimento sul campo (Murgia martinese, soprattutto), mi hanno convinto che un buon numero di questi nostri «vezzosi» bioindicatori sia già «in affanno», quasi sempre per l’uso a senso unico che l’uomo fa del suo territorio e dell’ambiente naturale: distruzione di siepi e di vegetazione spontanea (piante nutrici e nettarifere), uso smodato e incontrollato di pesticidi in agricoltura, trasformazione e scomparsa di aree prative, processi sistematici di sfalcio e di incendio controllato, incendi devastatori colposi o dolosi, ecc., sono tutte azioni che, comunque, distruggono un numero considerevole di uova, larve e pupe di tantissimi Ordini di artropodi, tra cui le nostre farfalle, per non parlare poi, «ciliegina sulla torta», del cosiddetto effetto serra, col nefasto carbonio cui stiamo dando grandi ali in atmosfera!
A tal punto, ormai, che la Navoncella o Pieride del Navone (Pieris napi L.), ecologicamente «sciafila» (=abbisogna di habitat più freschi e ombrosi), non frequenta più i prati e le radure fiorite che pur costellano, colorate e radiose, le boscaglie della nostra Murgia del sud-est: in estate, con l’accresciuto lievitare delle temperature, lei s’è rifugiata nei valloni (bosco Pianelle e pochi altri solchi gravinali boscati), e solo qualche sporadico esemplare osa avventurarsi a quote maggiori, dove la bella stagione suole ormai imperare in torride calure!
Giova ricordare anche la Tecla della Quercia (Tecla quercus L.), che
per gli stessi motivi ha abbandonato le sommità dei fragni (ricordo che, circa quarant’anni fa, per campionare qualche esemplare bisognava avere un retino dal manico lunghissimo!), per popolare oggi, numerosa, l’umido terreno delle radure nei valloni più boscati.
Alcune specie poi sono addirittura scomparse persino da questi, come la Pafia (Argynnis paphia L.), guarda caso anche lei sciafila e di quota, per non parlare della Vanessa Io, o Occhio di Pavone (Inachis io L.), avvistata qualche anno fa nel fondo della grande gravina di Laterza, e oggi sempre più rara e sporadica dalle nostre parti.
Ci sarebbe altro da dire sui lepidotteri bioindicatori che salgono di quota o che si rifugiano nei valloni a causa dell’aumento delle temperature tardo-primaverili e estive, ma ci terrei molto a ricordare, rendendole molto onore, un’altra farfalla, un tempo felice tra i Ninfalidi europei più comuni, che s’è molto rarefatta, anzi è quasi scomparsa del tutto a causa delle tonnellate e tonnellate di veleni che andiamo spargendo in agricoltura!
Anche lei ha un nome gentile e poetico: si tratta della Vanessa Variopinta o Multicolore (Nymphalis polychloros L.), altrimenti detta Vanessa dei Frutteti, e penso che noi tutti le dobbiamo molto, dacché, specie negli ultimi vent’anni è quasi del tutto scomparsa dai nostri giardini, dai campi, dalle periferie e dai parchi, proprio lei ch’era perla preziosa nello scrigno delle naturali meraviglie, felice trastullo di mamme e di bambini.
A noi, quindi, cogliere il messaggio che la Vanessa Multicolore ci manda, e questo suo «eroico» sacrificio non sarà vano se capiremo, una buona volta per tutte, che su questo nostro Pianeta, foriero d’immense dolcezze, un po’ per avidità, un po’ per inerzia e un po’ per strafottenza stiamo alterando equilibri secolari, eccellendo soprattutto come distruttori della sua preziosissima diversità biologica, quindi della vita stessa che, impoverendosi sempre più, rischia di perdere la capacità di diffondersi (siamo già su questa strada…) e infine rinsecchirà, travolgendo ogni cosa!
La medicina? Rinsavire, stornare la nostra tensione verso le cose artificiali e artificiose create dall’uomo e dedicare almeno un po’ del nostro tempo culturale ed emotivo alla bellezze a alle splendide armonie che ancor’oggi possono offrire le Cose Naturali, perché conoscenza e consapevolezza si traducano finalmente in azione positiva.