I Paesi partner di Iter stanno sviluppando concetti di reattori dimostrativi (Demo), come ulteriore ed unico passo verso la produzione di energia da fusione dopo Iter. Demo dovrà essere in grado di produrre energia elettrica in modo stazionario, e di produrre in modo autosufficiente il trizio consumato con l’uso di un mantello triziogeno.
Poiché non tutti i neutroni prodotti nelle reazioni di fusione D+T sono disponibili per le reazioni triziogene con il litio (a causa di perdite dovute ad assorbimento da parte dei materiali strutturali etc.), per riprodurre completamente il trizio consumato (breeding ratio T/n>1), si utilizzano nel mantello stesso dei materiali, quali il berillio e il piombo, nei quali i neutroni incidenti vengono moltiplicati per effetto di particolari reazioni nucleari (reazioni (n,2n)).
I mantelli basati sull’uso di berillio (mantelli solidi), utilizzano composti ceramici solidi del litio, quali Li4SiO4, Li2TiO3 o Li2O. Nel caso del piombo, data la bassa temperatura di fusione di tale materiale (327°C), esso viene usato in fase liquida e in lega eutettica con il litio (mantelli liquidi), in modo tale che il materiale combina le due funzioni di moltiplicazione di neutroni e di produzione di trizio. In entrambi i casi, il materiale strutturale è generalmente un acciaio ferritico martensitico ad attivazione ridotta, e il fluido refrigerante è elio o acqua. Vi sono anche in fase di sviluppo mantelli liquidi che utilizzano sali fusi composti di litio (Li – Flibe (LiF)n (BeF2), Flinabe (LiF-BeF2-NaF), in USA), o Li liquido (questa soluzione, adottata dalla Russia, con vanadio come materiale strutturale, è particolarmente interessante perché non richiede l’uso di moltiplicatore di neutroni grazie al basso assorbimento neutronico da parte del vanadio ma, d’altra parte, pone seri problemi di sicurezza per la presenza di litio puro, altamente reattivo e corrosivo).
La selezione tra i vari concetti dovrà tenere conto, oltre al breeding ratio raggiungibile, della stabilità fisica e chimica dei materiali impiegati, della semplicità di estrazione del trizio, della conducibilità termica e della temperatura di lavoro permessa, della fattibilità tecnica, della robustezza dei componenti nelle condizioni di operazione, degli aspetti di sicurezza e manutenzione, della minimizzazione dei livelli di radioattività dei materiali di scarico a fine vita.
I mantelli solidi presentano buone caratteristiche di compatibilità chimica tra i materiali e di sicurezza, ma presentano limiti alla densità di potenza a causa della conducibiltà termica relativamente bassa dei materiali breeder, e alla durata di vita a causa del danneggiamento e delle trasmutazioni indotte dai neutroni sia nel berillio sia nel breeder stesso. D’altra parte, i mantelli liquidi presentano maggiori problemi di compatibilità tra materiali, ma anche la possibilità di purificazione e rinnovamento on line dei materiali stessi. Nei mantelli liquidi, inoltre, il materiale breeder-moltiplicatore di neutroni potrebbe funzionare anche come refrigerante (mantelli liquidi autorefrigerati).
L’Europa sta sviluppando due di diversi concetti di mantello per Demo da provare in Iter:
? Helium Cooled Pebble Bed (HCPB) ? mantello solido basato sull’uso di Li4SiO4 come materiale breeder, in forma di pebbles per l’estrazione del trizio tramite un flusso di He a bassa pressione,
e di berillio come moltiplicatore di neutroni, in forma di pebble bed per il controllo della temperatura con flusso di elio.
? Helium Cooled Lithium Lead (HCLL) ? mantello liquido basato sull’uso di LiPb.
Il modulo di mantello consiste per entrambi i concetti in una struttura di Eurofer che contiene le unità breeder, diverse nei due casi. Tutto il modulo è attivamente refrigerato ad elio (T in/out = 300/500 °C, P = 8 MPa).
In figura 7 è riportato lo schema concettuale dei moduli triziogeni sviluppati per essere testati in Iter.
Figura 7 ? Modulo di mantello triziogeno per Demo (progetti europei) ? A sinistra: struttura in Eurofer del modulo che include la prima parete e la griglia per l’alloggiamento delle unità breeder. A destra, in alto: unità breeder relativa al concetto HCPB, con i due letti di Li4SiO4, immersi in berillio; in basso: unità breeder relativa al concetto HCLL, con i pannelli in Eurofer attivamente raffreddati lungo i quali viene fatto circolare il LiPb.
Nel recente passato sono stati condotti anche diversi studi sui concetti di reattore commerciale (Power Plant Conceptual Studies). Alcuni che richiedono tecnologie più mature altri orientati verso soluzioni più avanzate che ancora richiedono sviluppi significativi. I concetti a più breve termine sono basati sull’utilizzo di materiali strutturali tipo acciai ferritici-martensitici e sono previsti lavorare a temperature attorno ai 450°C. I concetti più avanzati utlizzano acciai ODS (induriti per dispersione di ossidi) e anche di materiale ceramico composito (SiCf/SiC). Questi ultimi possono lavorare a temperature notevolmente più elevate ed essere perciò utilizzabili anche per altri scopi come la produzione di idrogeno.
Gli studi relative ai PPCS hanno dimostrato la potenziale economicità di questi impianti e soprattutto la loro sicurezza. Come si nota dai grafici, il costo del kWh da fusione può risultare competitivo anche paragonato ai costi delle fonti attualmente utilizzate e varia dai 3 ai 7 centesimi di euro. Per quanto riguarda gli aspetti di sicurezza, l’assenza totale di scorie a lunghissima vita e la possibilità di riutilizzare i materiali dopo circa 100 anni, grazie allo sviluppo di materiali a bassa attivazione, rendono la fusione molto attrattiva.