Potremmo dire, ma senza arrivare a condannare niente e nessuno, che già nell’immediato sarebbero, dunque, possibili notevolissime quote di risparmio elettrico. Possiamo frenare i consumi elettrici, senza mettere a rischio il nostro benessere, solo proponendoci l’obiettivo di incidere (oltreché sulle endemiche e significative perdite per inefficienze varie, di produzione e distribuzione, già note e documentate) soprattutto sull’attuale «spreco» di risorse.
Sono veramente troppe le risorse naturali non rinnovabili «sperperate» dalle non governate «esigenze» energivore delle «esasperanti e paludose» competizioni sui mercati globali dei consumi (dagli eccessi del «condizionamento climatico» e dell’estremo uso della «illuminazione artificiale» degli esercizi commerciali, fino a quelli, troppo spesso ingiustificati, delle catene del freddo per la conservazione di prodotti alimentari), mentre potremmo, invece, liberare le «virtuose sinergie» delle «risorse» umane per dare risposte a «bisogni» veri, alla «positività sociale» delle «buone relazioni» interpersonali e collettive e alla «positività operosa» delle «collaborazioni trasparenti».
«Va bene», potrebbe dire qualcuno, con cinica e illuminata intuizione, «ma sarebbe necessario tutto un ?altro mondo? che non c’è!». Una intuizione, questa, che in realtà, è solo tutto ciò che è capace di suggerire l’attuale, imperante, paralizzante e disastroso «senso comune»!
Non è il caso, qui, di fermarci a discutere sul «pensiero unico» della improponibile «crescita infinita» dei consumi, sulle filosofie avvilenti e distruttive del «nulla che si può fare» per il progresso umano o sui «curati insabbiamenti delle nostre libertà» sentenziati e praticati, con mistificanti argomentazioni, da interessati profeti e abili costruttori di effimeri consumi.
Non possiamo, però, non evidenziare che proprio nelle argomentazioni del «senso comune» si annida il problema di fondo della nostra «civiltà moderna». Infatti, quando si fa intendere di voler perseguire il «progresso umano» non possiamo, poi, accettare che, nel concreto delle decisioni, tutto si riduca a progettare solo lo «sviluppo» delle attività economiche, energia compresa. Non si può ricondurre ogni discussione ai temi della tecnologia e dei mercati finanziari e ogni intervento, su servizi e consumi, al sovradimensionamento dell’esistente solo perché questo sarebbe il «comune sentire». Così le nostre società non avanzano, ma tendono, solo, alla conservazione museale dell’esistente.
Si prospettano imminenti limiti nella tenuta dell’equilibrio fra domanda e offerta di risorse naturali, ma nessuno sembra preoccuparsi di cercare e valutare possibili alternative all’attuale sistema economico. Sembra che alla nostra società «moderna» (sottratta ad ogni confronto costruttivo con i naturali cambiamenti della realtà che non rientrino in una convenienza di mercato) non sia rimasto altro che il «destino» di coltivare gli infertili contesti del progressismo tecnologico fine a se stesso, degli scontri di civiltà, delle presunte superiorità sociali e culturali, del vantato ampio possesso di «verità» materializzate e assolute, delle assunzioni unilaterali di responsabilità globali, delle visioni «autoreferenziali» contrabbandate come principi «naturali» del «bene» e del «male»… Tutto un contesto, costruito sul «senso comune» e sulla sua retorica, che (se non collasserà prima, nel nulla di un mondo disumanizzato) potrà solo offrire, un ammaliante tramonto alla dignità umana e il perfido «vantaggio» di non angosciarci con i dubbi e il peso delle mancate
scelte e di confortarci con quelle «chiare e poche cose» che rimuovono i problemi e ci sollevano dalle responsabilità delle nostre inettitudini.