Oggi la produzione di nuova energia e la scelta nucleare si propongono, in realtà, non come soluzioni, ma come il vero problema da affrontare! Abbiamo veramente bisogno di energia elettrica? L’energia elettrica da impianti nucleari è una vera alternativa? Queste sono domande legittime e fondamentali perché la scelta nucleare (oltre ai problemi di sicurezza) comporta, di fatto, per la sua dimensione finanziaria, il blocco totale di altre scelte comprese quelle, più assennate ed essenziali, sulla ricerca di fonti di energia più avanzate. C’è da chiedersi quale prospettiva può offrire oggi l’ancorarsi alla costruzione di impianti nucleari di terza generazione, quando già in via di sperimentazione ve ne sono altri con ben altre performance. Gli impianti di quarta generazione (che hanno una produzione di energia molto efficiente e una quantità di scorie inferiori e comunque non contenenti plutonio), pur se non ancora ingegnerizzati su larga scala, sono operativi come prototipi.
Invece con la costruzione e gestione di impianti di produzione elettrica, con le vecchie tecnologie (quelle di tipo Pwr, nelle versioni «aggiornate» Epr o AP1000, sono le più probabili), non solo non si dà una prospettiva futura a nuove tecnologie e a nuove opportunità per le migliori «fortune» del nostro Paese, ma, soprattutto, si sottraggono risorse ad una prospettiva di ricerca e sviluppo anche in altri settori e si finirà, così, col mettere fuori gioco definitivamente l’Italia dal gruppo di paesi tecnologicamente avanzati.
L’uomo sa fare molto e bene in linea con le sue naturali tendenze sociali: valutare criticamente la convenienza di un bene comune, valorizzare le sinergie della condivisione, scegliere le opportunità che consentono di investire le risorse naturali per migliorare la qualità della vita, costruire ponti che permettano di unire le risorse irripetibili delle nostre personali vocazioni ed esperienze. Ma la scelta di produrre sempre più energia, dal nucleare in particolare, in quanto opzione finalizzata alla crescita dei consumi e in quanto sottrazione di ingenti risorse ad altri e virtuosi progetti, non può che essere interpretato come «soluzione» di un problema, ma come «problema» che nasce dalla scelta di voler disporre di una potenza operativa solo per vincere e mettere al tappeto i competitori, per agire da «predatori» (come è diventato necessario esserlo oggi) nel contesto globale degli scontri e delle prepotenze commerciali.
Non c’è qui nessuna intenzione di sostenere la bontà di società che si reggono su ormai improbabili equilibri stazionari, ma si vuole solo invitare a riflettere sull’attuale economia di mercato per valutare l’urgenza di un modello di sviluppo socialmente più qualificato e più temperato nell’esercizio di un potere centrale: attualmente non abbiamo nessuna alternativa alla «società dei consumi» e una sua eventuale crisi ci troverebbe del tutto impreparati ai necessari cambiamenti. C’è forse da ripensare ad un mercato dove possa agire lo scambio di risorse (e non solo il potere finanziario) fra paesi interessati a sviluppare buone relazioni e qualità umane di vita. È necessario uscire da quel quadro miserevole e avvilente di vita a cui sono condannati troppi nostri simili solo per i nostri egoismi, le nostre insipienze e le nostre paure armate.