Sulla questione nucleare sarebbe sicuramente interessante un’indagine su com’è cambiato il «sentiment», verso il nucleare espresso dai quotidiani dal 2000 ad oggi. Sono stati molti gli scienziati e gli economisti che, fino al 2006, si esprimevano in modo chiaro e coerente sugli «svantaggi» del nucleare:
– «Ma il nucleare non è la soluzione giusta» titolava un articolo di Geminello Alvi (economista certamente non in quota al movimento antinuclearista) sul «Corriere della Sera» in Corriere Economia del 14 luglio 2004;
– «Il carbone pulito è la nuova frontiera per i ?maestri? del nucleare di GE» (nientemeno che della «General Elettric» detentrice di importanti brevetti del nucleare civile!) titolava, «la Repubblica» in Affari&finanza del 16 ottobre 2006;
– «Nostalgia del nucleare, ma costa troppo» titolava invece un articolo di J. Giliberto su «Il Sole-24 Ore» dell’11 giugno 2005 che riportava una ricerca economica, condotta per conto del ministero dell’Energia Usa, sul vero costo del nucleare «senza sovvenzioni statali»: 47-71 $ del MWh nucleare contro i 35-45 $ del MWh del turbo gas a ciclo combinato. Un confronto, sui costi, che per la fase transitoria, a cui sono destinate le attuali tecnologie, metterebbe fuori mercato il nucleare al di là di ogni altra valutazione sulla sicurezza degli impianti, sulle scorie non confinabili…
[Ricordiamo, qui (dovendo rilevare una certa latitanza in materia e quindi anche volendo evidenziare le mistificazioni di quella perfida pratica di dimenticare ciò che «non conviene», per sostenere, invece, altre «convenienze» assolute, preordinate e poco trasparenti) che il turbo gas a ciclo combinato è stata una scelta molto importante e vantaggiosa, fatta in Italia alcuni anni fa. Questa tecnologia, infatti, ha un limitato inquinamento e un elevato rendimento (55% rispetto al 40% degli altri impianti) (fonte Cnr)].
Ma, poi, in nome della «mobilità del pensiero» e delle convenienze del momento, nel biennio 2007-08 gli argomenti della questione nucleare diventano di ben altro tenore:
– «L’energia [nucleare] negata» titolava, con toni quasi strazianti, il «Corriere della Sera» in «Corriere del Mezzogiorno» del 5 giugno 2007;
– «Veronesi: solo il nucleare ci salverà» titolava «la Repubblica» del 30 maggio 2007, riportando la voce profetica di un oncologo;
– «Nucleare, tra dieci anni pronta la prima centrale …», anche se «restano le questioni irrisolte della sicurezza e dei costi economici» e anche se si prevede un «costo almeno di 40 miliardi [di euro]», il «nucleare», cioè, secondo «la Repubblica» del 17 marzo 2008, è ormai un «dato di fatto», anche se … vi sono notevoli e gravi questioni «irrisolte»! Tutte cose che sembrerebbero, però, non impensierire i «disinvolti» sostenitori del «fare le cose» e quelle nucleari in particolare;
– il 3 novembre 2007 il «Sole-24 Ore» esce con un allegato di 4 pagine «Nucleare a 20 anni dal referendum». Dispersi in più articoli, anticipati dal titolo «Si incrina il fronte del ?No?», in realtà vi sono interessanti notizie, «forse» in contrapposizione con lo «spirito» del dossier. Da un collage di argomenti ne viene fuori un quadro emblematico
delle incertezze esistenti sul nucleare:
I costi dell’atomo … sono decisamente competitivi … quando fanno parte di un programma statale … o monopolistico, … se la gestione delle scorie è a carico della collettività [prelievo in bolletta per lo smaltimento], … se vi sono sovvenzioni e garanzie finanziarie pubbliche, … se le assicurazioni possono godere di limiti nei risarcimenti, … se gli impianti sono molti e tutti uguali, … se tutto procede più o meno per il verso giusto, … se la progettazione si rivela davvero priva di errori, … se gli impianti sono pronti entro cinque anni, … [se] il modello è consortile, … se si gestiscono impianti già esistenti [senza costi di costruzione], … se ben confezionate nella tecnologia e nella finanza, … se si ottiene un prestito dalle banche inferiore al 5%.
Se si adottano i suddetti accorgimenti, «niente affatto scontati», … solo così è un vero affare!
Intanto, mentre le cose cambiavano (nel mondo dell’informazione, ma non per la tecnologia nucleare scelta, rimasta la stessa dagli anni 60 del secolo scorso), noi avremmo voluto capire chi stava «guidando» l’informazione e «gestendo» anche il cambiamento della visione della realtà. Non avremmo, certamente, voluto fare, come invece abbiamo dovuto fare, gli spettatori di una fiction già definita nella trama e nell’epilogo. Così, alla fine, ci siamo trovati tutti a fare la parte del «popolo bue» e (per chi avesse voluto indagare su alternative e opinioni diverse) a fare anche la parte del vaso di coccio fra i vasi di ferro.
È, quindi, certamente opportuno ed urgente fare una riflessione sui meccanismi che alterano le nostre visioni della realtà e sul loro uso che azzera la pratica, informata e consapevole, della partecipazione dei cittadini alle scelte democratiche.
La produzione di energia elettrica in Italia rappresenta, oggi, meno del 30% (fonte: Unione Petrolifera su dati 2003 ministero delle Attività Produttive) del totale dell’energia necessaria al nostro paese, misurata come petrolio equivalente consumato per produrla. La quota ben maggiore di energia, consumata nel nostro paese, è invece quel 70% di energia per usi non elettrici, costituito, soprattutto, dal consumo di oli combustibili (per usi termici diretti) e di carburanti (per il sistema dei trasporti).
Ma, fino a qualche decina di anni fa (anni 70), i consumi di energia elettrica (calcolati sulla media di due anni disponibili forniti da elaborazioni Enea su dati ministero dell’Industria) erano notevolmente più bassi (molto meno del 15% circa), cioè molto meno della metà dei consumi percentuali più recenti. Un divario percentuale a cui, oggi, non fa riscontro un parallelo aumento percentuale di consumi elettrici per la produzione industriale, la cui percentuale sui consumi elettrici è, anzi, diminuita (le serie di dati disponibili mostrano un passaggio, dagli anni 70 al 2000, dal 60% circa al 50% circa.
Valori calcolati dai dati disponibili forniti da elaborazioni Enea su dati ministero dell’Industria). È evidente, dunque, che il maggior consumo, rilevato oggi, deve essere attribuito ai maggiori assorbimenti di energia elettrica per usi civili e commerciali.
Ffra questi, quelli per il condizionamento climatico degli ambienti chiusi (come chiaramente indicato dai picchi dei consumi estivi e dai relativi rischi di black-out elettrici, quando invece si registrano i minimi della produzione industriale) e per una sempre più diffusa illuminazione notturna delle vie di comunicazione urbane ed extra urbane.
Detto in altri termini, fino a qualche decina di anni fa vivevamo così come, in buona sostanza, viviamo oggi, ma con consumi elettrici molto inferiori e, sicuramente, con meno urgenze e angosce del «fare» e del «consumare», più tempo per «osservare» e più serenità per «pensare».