Se non fosse per le alterazioni progressive dell’habitat originario, o per i non infrequenti investimenti notturni di esemplari in movimento da parte di veicoli in corsa sfrenata, l’Istrice non avrebbe oggi praticamente altri nemici se non quello più tradizionale, il bracconaggio
Se la distribuzione dell’Istrice (Hystrix cristata) ne fa una specie tipicamente appenninica, in realtà molti studiosi ritengono che questo spinoso e poco maneggevole Roditore, uno dei giganti del gruppo, spiccatamente termofilo, vegetariano e largamente distribuito nella parte settentrionale del continente nero, sia stato probabilmente importato dall’Africa all’epoca dell’antica Roma.
Gli ambienti preferiti dall’Istrice sono la macchia mediterranea e soprattutto la boscaglia, la garìga incolta e le colline rocciose e accidentate, ben soleggiate e a bassa altitudine. Nel secolo scorso, lo si riscontrava con una certa frequenza soprattutto in Toscana, Lazio, Campania, Puglia, Calabria e Basilicata: è inoltre abbastanza diffuso, con una popolazione leggermente differenziata, in Sicilia. Ma negli ultimi decenni si sono avute prove certe di una sua lenta e progressiva espansione verso settentrione, a cominciare dalla montagna appenninica di Umbria e Marche, dove il simpatico animale ha conquistato gran parte della campagna abbandonata, diventando a poco a poco più frequente. Altrettanto interessante è il fatto che, sempre più spesso, se ne siano rinvenuti individui persino in Romagna, oltre il limite dell’areale di distribuzione che gli veniva attribuito in passato. Quanto all’Abruzzo e al Molise, si credeva che le uniche prove certe della presenza dell’Istrice risalissero a molto tempo addietro, vale a dire al principio del secolo scorso: allorché il medico molisano Giuseppe Altobello lo riteneva già «in via di scomparsa», ricordandone le sporadiche uccisioni riscontrate qua e là nell’Appennino Centrale.
In realtà, invece, l’Istrice benché fortemente perseguitato è sempre sopravvissuto nei luoghi più tranquilli e meno disturbati di quelle regioni, e dagli anni Sessanta in poi ha ripreso di nuovo ad espandersi lungo il versante Adriatico. E fu senz’altro merito del Centro Studi Ecologici Appenninici anzitutto documentare la sua effettiva presenza sui contrafforti laziali, molisani e marsicani del Parco Nazionale d’Abruzzo, nonché nel Teramano e nel Pescarese alle falde del Gran Sasso. E poi esporre al pubblico, nel Centro Natura di Pescasseroli, i resti subfossili di Istrice raccolti nelle faggete del Parco Nazionale d’Abruzzo, risalenti probabilmente al Pleistocene Superiore: prova lampante del fatto che nel passato del Roditore non vi erano soltanto trasporti ed immissioni da parte di Romani sulla via del ritorno dall’Africa.
Senza nemici
Ai giorni nostri, si può tranquillamente confermare che l’espansione della «Spinosa» (questo il nome attribuito all’Istrice in terra di Maremma) è continuata lungo il versante Adriatico, raggiungendo anche l’Emilia, e sia pure in piccola parte, il Veneto: oggi è la Pianura Padana a costituire, a quanto pare, un limite settentrionale invalicabile. Al tempo stesso, sul versante Tirrenico la sua lunga marcia verso Nord, alla conquista di nuovi ambienti, simile a quella di molti altri animali e piante favoriti dal riscaldamento climatico, non sembra aver conosciuto sosta: riuscendo a superare anche la «barriera ecologica» storica, corrispondente in passato al fiume Arno. Infatti l’Istrice vaga ormai pure nella Toscana settentrionale, sconfinando qualche volta persino in Liguria.
Non è tuttavia troppo facile incontrarlo, a causa delle sue abitudini quasi esclusivamente notturne.
Di che cosa si ciba
Il suo nutrimento preferito è costituito da vegetali come radici, tuberi, bulbi, rizomi, cereali e frutta: tra questa uva e fichi sembrano particolarmente graditi. Ma l’attività più frequente consiste nel rosicchiare continuamente, in modo inconfondibile, cortecce e tronchi d’albero. Talvolta, in condizioni particolari, può anche cibarsi di rane, insetti e resti di animali morti. Scava tane profonde ben nascoste, grazie ai potenti unghioni e alle zampe robuste, capaci di aprire il varco a un corpo che sembra fatto apposta per insinuarsi infaticabilmente in ogni buca del terreno. Ma talvolta trova più comodo e spedito sfruttare tane abbandonate di Volpi e di Tassi… Ha vita familiare normale e abitudini terrestri, anche se nuota bene e all’occorrenza potrebbe arrampicarsi.
La caratteristica più nota dell’Istrice sono i pungentissimi aculei a fasce bianche e nerastre, che oltre a contribuire efficacemente al mimetismo, possono erigersi di fronte al pericolo, costituendo una barriera quasi invalicabile per qualsiasi animale ostile. Non teme quindi predatori naturali, perché la sua «corazza» lo protegge persino dai grandi carnivori, come ben sanno in Africa: dove spesso persino un Leone, un Leopardo o una Jena preferiscono evitare ogni contatto, per non soccombere alle dolorose punture, come in effetti è capitato talvolta. Gli aculei vibrano minacciosamente, con un tipico tintinnìo accompagnato da soffi e grugniti, realizzando così un primitivo ma efficacissimo sistema difensivo. Proprio questa circostanza, che spesso provoca il distacco e la caduta di qualche aculeo, ha forse fatto nascere la leggenda che l’Istrice sia in grado di lanciare a breve distanza, come micidiali dardi, le sue spine. D’altro canto sono appunto gli aculei, perduti in quei drammatici momenti o più semplicemente per effetto della pacifica muta stagionale, che permettono talvolta di individuare, nei punti di passaggio obbligato, la presenza dello schivo animale, altrimenti quasi invisibile.
L’Istrice, animale strano ma schivo, innocuo ma temuto, pacifico di temperamento ma capace di difendere con indomita fierezza se stesso e la propria prole da ogni pericolo, costituisce un «simbolo» eloquente e ricercato, spesso adottato da associazioni e istituzioni (come ad esempio il Museo Civico di Storia Naturale di Grosseto). Anche i suoi aculei vengono localmente apprezzati, ed usati non di rado come ornamenti o talismani.