( Direttore Centrale Enea )
Le Nazioni Unite hanno affrontato il problema dei cambiamenti climatici da un punto di vista delle analisi del «rischio», con un ragionamento molto semplice: se il cambiamento climatico rappresenta un rischio per l’Umanità, noi dobbiamo affrontare questo rischio esattamente come si affrontano tutti i rischi: agendo sia sulle cause del rischio per minimizzarne i fattori di insorgenza, sia sugli effetti del rischio per minimizzarne le conseguenze negative ed i danni.
La riduzione delle cause del rischio di cambiamento del clima, nel linguaggio delle Nazioni Unite, si chiama «Strategia di mitigazione». Invece, la riduzione delle conseguenze negative e dei danni derivanti dal rischio di cambiamento del clima, si chiama, sempre nel linguaggio delle Nazioni Unite, «Strategia di adattamento».
La strategia di mitigazione dei cambiamenti climatici, che agisce sulle cause dei cambiamenti del clima, ha l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra provenienti dalle attività umane al fine di eliminarne l’accumulo di gas serra in atmosfera, accumulo che, per le caratteristiche che hanno questi gas di trattenere il calore, determina uno spostamento dell’equilibrio complessivo del bilancio energetico del sistema climatico e, quindi, una variazione del clima.
La strategia di adattamento ai cambiamenti climatici, che agisce sugli effetti dei cambiamenti del clima, ha, invece, l’obiettivo di minimizzare le possibili conseguenze negative derivanti dai cambiamenti climatici ormai in atto (e non evitabili attraverso il taglio delle emissioni di gas serra e la conseguente stabilizzazione della loro concentrazione nell’atmosfera) e di prevenirne gli eventuali danni futuri riducendo la vulnerabilità territoriale e quella socio economica ai cambiamenti del clima, e sfruttando, ove possibile, le nuove opportunità di sviluppo socio economico che dovessero sorgere con i cambiamenti climatici.
Anche se la strategia di adattamento ai cambiamenti climatici dipende dalla strategia di mitigazione (ed in particolare dalla sua efficacia e dalla sua tempestività di attuazione), perché maggiore è lo sforzo di mitigazione (cioè di riduzione delle emissioni di gas serra), minore sarà lo sforzo di adattamento, tuttavia adattarsi non significa rassegnarsi all’ineluttabile, perché l’adattamento è fondamentalmente una azione di prevenzione dei rischi e di protezione dell’ambiente, del territorio e del benessere socio economico e socio sanitario della popolazione.
La strategia di mitigazione è una strategia internazionale perché l’azione delle riduzione delle emissioni potrà essere efficace solo se tutti i Paesi concorreranno insieme con uno sforzo comune per ottenere il risultato necessario. Il problema è quello di ripartire equamente costi e benefici di tale azione comune, un problema questo che è ormai in discussione da tempo in un lungo processo negoziale che ha trovato una prima tappa (solo per i paesi industrializzati) nel protocollo di Kyoto, approvato nel 1997 ed entrato in vigore nel 2005, ma che dovrà trovare una seconda e definitiva tappa (per tutti i paesi del mondo) con una soluzione unanime, equa e condivisa da tutti, che avrà validità a partire dal 2012 (data di scadenza del protocollo di Kyoto). Questa soluzione unanime dovrà essere messa a punto e discussa entro la fine del 2009 (come stabilito nel 2007
a Bali, in Indonesia) in occasione di una specifica conferenza convocata a Copenhagen.
La strategia di adattamento è, invece, una strategia essenzialmente nazionale, anche se dovrà trovare opportune forme di omogeneizzazione metodologica a livello internazionale. Si tratta, in pratica, di un processo attraverso il quale ogni Paese dovrà cercare di prepararsi ad affrontare le incertezze del futuro, attrezzandosi opportunamente (piani, programmi, tecnologie, organizzazione, formazione scientifica, informazione, ecc.) per minimizzare i contraccolpi negativi che possono derivare dai cambiamenti del clima e per prevenire i possibili danni. Ma nello stesso tempo, ciascun Paese dovrà anche cercare di prepararsi per trasformare quelli che potrebbero essere possibili punti di debolezza del proprio sistema socio?economico, in possibili punti di forza, cioè prepararsi anche a saper cogliere e sfruttare le nuove opportunità che potranno presentarsi a causa dei cambiamenti del clima e dei suoi effetti.
I problemi maggiori per la definizione e l’attuazione di una strategia di adattamento si pongono per i Paesi in via di sviluppo che non hanno adeguate conoscenze tecnico scientifiche, capacità tecnologie, risorse finanziarie ed efficiente organizzazione sociale, per definire azioni idonee per i loro problemi di adattamento.
In questo contesto, le Nazioni Unite hanno chiesto una forte cooperazione internazionale fra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo ed hanno istituito anche appositi fondi finanziari ed organismi di supporto per venire incontro alle esigenze dei paesi più poveri. Ma hanno anche chiesto che sia agevolato il trasferimento di nuove tecnologie verso i paesi più poveri e che vengano accresciute le capacità di conoscenza e di consapevolezza dei problemi, le capacità istituzionali e di intervento operativo e tutte quelle condizioni di base che vanno sotto il nome di «capacity building». Anche su questo versante nella conferenza di Copenhagen del 2009, citata precedentemente, si dovrà pervenire con una serie di proposte concordate fra tutti Paesi (ricchi e poveri) delle Nazioni Unite da discutere e da accettare consensualmente.