Lo scienziato oggi

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Il tema della frattura fra cultura umanistica e cultura scientifica è oggetto di continue discussioni, da quando lo studioso inglese C. P. Snow una cinquantina d’anni fa lo ha trattato in un sua opera molto nota intitolata «Le due culture». Snow racconta in modo provocatorio di aver chiesto ai suoi amici scienziati se avevano mai letto Shakespeare e ai suoi amici umanisti se sapevano cos’è il secondo principio della termodinamica, e di aver ricevuto risposte negative da entrambi. Secondo Snow la frattura fra le due culture deriva dal fatto che gli scienziati hanno, per natura, il futuro nel sangue, mentre gli umanisti auspicano che non ci sia futuro perché i loro occhi sono rivolti al passato. Io non credo che si possa condividere questo giudizio.
Che ci sia una frattura fra cultura umanistica e cultura scientifica e anche fra le varie aree all’interno delle due culture è tanto evidente quanto inevitabile. Quando a Bologna nel 1088 è stata fondata la prima università e ancora, più o meno, per altri cinque secoli, la scienza era ben poca cosa: a quel tempo gli scienziati sapevano quasi niente, ma parlavano di quasi di tutto. Poi la situazione col passare degli anni è profondamente mutata. Il campo della scienza si è molto allargato e differenziato così che oggi, se si vuole scoprire o inventare qualcosa, bisogna fare ricerca in settori molto specifici, per cui si finisce per sapere quasi tutto, ma di quasi niente. E quando si parla di quel quasi niente che è il proprio campo di ricerca, bisogna spesso usare un linguaggio tecnico che quasi nessuno capisce.
Il discorso, però, non finisce qui. Il vero scienziato, oltre ad avere una conoscenza molto approfondita del suo specifico settore di ricerca, che gli permette di scoprire o inventare cose nuove, mantiene contatti con le altre aree della scienza e anche con la cultura umanistica. Se non lo fa, se si chiude nel suo laboratorio o nella sua biblioteca, finisce per perdere interesse anche nei confronti della società e del mondo in cui vive. Persone di questo tipo non dovrebbero essere chiamate scienziati; per essi proporrei il nome di ricercatori settoriali.
Per il vero scienziato, futuro, presente e passato sono ugualmente importanti. Lo scienziato ha il futuro nel sangue in quanto esplora l’ignoto con idee o esperimenti nuovi; ma per farlo, deve conoscere il passato. Galileo, riferendosi ad Aristotele, diceva: «Io vedo più lontano perché sono salito sulle spalle di un gigante». Anche oggi, per scoprire od inventare qualcosa di nuovo, bisogna salire sulle spalle di quel gigante che è la conoscenza fin qui accumulata; e non solo su quella del proprio settore, ma anche su quella dei settori confinanti in quanto è provato che il progresso della scienza avviene particolarmente nelle aree di contatto delle varie discipline. Guardando lontano dalle vette della conoscenza, lo scienziato ammira un panorama sempre nuovo e deve decidere che direzione dare alle sue ricerche. Nel far questo, è importante che abbia nel cuore il presente: il


grido dei poveri, lo spreco dei ricchi, il respiro affannato di un pianeta ormai troppo sfruttato, la speranza che ci viene dall’energia che il sole continuerà ad inviarci regolarmente per miliardi di anni.