Un prato non è una distesa inutile d’innumerevoli ed identici fili d’erba. Se si trattasse solo di una strategia ridondante di conservazione o, come qualcuno preferisce immaginare, di vittoria di una specie nell’occupare un certo habitat, saremmo forse in presenza di uno spreco inutile di risorse.
In realtà non si tratta di una replicante manifestazione di occupazione di un territorio, ma di espressioni di diversità totali, di unicità di ogni individuo: un modo per assicurare non il museo morto dell’esistente e dell’esistito, ma per poter dare un senso alla propria unicità, alle proprie capacità sinergiche, al senso di «appartenenza» ad un prato, ai suoi fertili equilibri e ai suoi complessi processi virtuosi ed essenziali per la vitalità globale del sistema Terra.
Tutti fenomeni, questi, naturali e dinamici che, pur se sfuggono a una nostra conoscenza compiuta, offrono la dimensione di quanto siano costruttivamente creative le potenzialità della diversità di ogni singolo filo d’erba. Anche gli elementi di una stessa catena neuronale (struttura fondamentale della fisiologia degli esseri viventi) non sono passivi elementi «conduttori», fisici e indifferenziati, di un segnale elettrico, ma attivi «elaboratori» di un segnale preso, quasi in responsabile consegna, e quindi ritrasmesso in sequenze, con assoluta affidabilità, fra i diversi sistemi e organi vitali: tutto un impegno esercitato individualmente da ciascuno, senza deleghe ad alcuno e senza sottomissioni a un potere imposto da una funzione piuttosto che da un’altra.
Certo è che la natura, la sua capacità vitale di reggere e sviluppare equilibri, ha molto da «raccontare» all’uomo che invece preferisce, troppo spesso, chiudersi nel piccolo e nel semplice delle sue limitate esperienze, forse anche solitarie e contorte, immaginando, magari, di poter cambiare tutto un mondo solo perché non riesce o non vuole riconoscerlo nella sua essenza.
Vi sono sicuramente difficoltà relazionali e inettitudini che rendono l’uomo «vittima colpevole» delle sue pigrizie mentali e di avvilenti fascinazioni solipsistiche. Ma queste non sono un destino, sono piuttosto una prova che chiede di mettere a frutto le migliori qualità umane. Siamo, dunque, chiamati ad andare oltre le pericolose paralisi dei nostri pensieri, oltre le suggestioni o le frustrazioni formali messe in gioco dagli eventi. Dobbiamo riuscire a dare senso e valore alle nostre capacità di ricercare, discernere, operare e saper rendere conto della efficacia e della qualità delle nostre azioni.
Dobbiamo aprire relazioni operose, consapevoli e responsabili con i nostri intorni, dobbiamo interrogarci e interagire con i fenomeni naturali, perché, almeno nella loro immanenza, tutti siamo invitati, con le nostre specifiche diversità, a partecipare e a cooperare con il loro «divenire».