Siamo, oggi, di fronte ad un processo che ha trovato, nella globalizzazione dei mercati, strade libere e senza controlli e che si è, poi, sviluppato sui perfidi meccanismi fondati sulla rendita dei soli movimenti di capitali. Il sistema finanziario, venendo meno, così, al suo compito di promotore finanziario delle attività industriali, ha sottratto strumenti allo sviluppo economico e lo sta, anche, danneggiando sul fronte delle risorse umane qualificate che non sono attratte, o meglio che sono respinte, da un sistema produttivo che non trova spazi e opportunità, di credito e di mercato, per svilupparsi e costruire i riferimenti necessari per il suo futuro.
Un processo che, avvitandosi su se stesso, sembra spingere, verso uno spontaneo collasso, quell’economia globalizzata dalla quale si attendevano ben altri risultati. Ma il collasso, nell’immediato, non avverrà perché c’è già chi (lo Stato) pagherà i danni prodotti da una «anomalia del mercato» (come l’ideologia liberista si è affrettata a definire i mali non neutralizzati che, in realtà, sono connaturati con le sue politiche di «deregulation»).
Sempre allo Stato (con la distrazione di disponibilità finanziarie di altri essenziali capitoli di spesa) toccherà poi pagare anche la ricostruzione delle condizioni perché il sistema liberista (ormai, quasi una «condanna» strutturale delle democrazie occidentalizzate) possa riprendere la sua azione egemonica sovranazionale e continuare a decidere unilateralmente le sorti del mondo, esautorando, di fatto, le democrazie da quote significative di autonomia nelle politiche finanziarie, industriali, agricole, commerciali, del welfare State, del mondo del lavoro, delle relazioni e degli accordi internazionali.
Ma i sistemi economici e finanziari non sono stati i soli ad alimentare la crisi, hanno, infatti, mostrato inaccettabili limiti anche le «autority» preposte al loro controllo. Forse fra troppi silenzi non ha avuto una corretta risonanza l’«impotenza» di questi istituti di garanzia nazionali e mondiali che avrebbero dovuto assumere specifiche responsabilità, di controllo, di regolazione preventiva e d’intervento correttivo, sulle attività finanziarie. Invece, nel migliore dei casi, queste istituzioni, ma anche i decisori politici, si sono attivati a cose avvenute e solo per la cura dei sintomi di una minacciosa patologia che, ormai, si è ben radicata nella realtà.
Anche la «scienza» economica e finanziaria «modernizzata» (quella puntata a pretendere il libero mercato e insieme paralizzata dai suoi micidiali effetti) sembra essere stata assente nei momenti della valutazione delle tendenze «anomale», in atto nel mercato, e di quegli strumenti finanziari strutturati che «sfuggivano» alla valutazione ordinaria degli enti certificatori. Oggi questa scienza appare ancora troppo impegnata a cercare altrove le vere cause dei rovinosi impatti prodotti da alcune sue «ottime» teorie troppo curvabili, però, a fare altro, a spalmare sui mercati mondiali, come è stato fatto, prodotti finanziari tossici per godere del bene di profitti e rendite, su attività improduttive, ottenute da pochi a danno di molti.
Nonostante quanto è avvenuto, questa stessa scienza non demorde dalle sue convinzioni e già si presenta pronta a costruirne sempre di nuove per far quadrare il cerchio delle sue molte, profonde e irrisolte, contraddizioni, sottovalutazioni e amnesie. È una
scienza che tarda, soprattutto, a riflettere e ad assumere le proprie responsabilità di valutazione, sulle distruttive contraddizioni del sistema economico-finanziario e su quanto queste pesano, con i loro impatti, sul senso del vivere umano e non solo sulla massimizzazione dei profitti e sull’uso arbitrario delle risorse naturali.