Poiché l’apparato pubblico si muove con troppa lentezza, i promotori accelerano i tempi costituendo nel 1921 un proprio ente autonomo e riuscendo poi, con il consenso delle autorità locali e grande afflusso di pubblico, a inaugurare il Parco d’Abruzzo come iniziativa privata il giorno 9 settembre 1922. Questa coraggiosa iniziativa ebbe il merito di accelerare l’iter legislativo, e finalmente vennero approvate le leggi che istituivano i due primi parchi nazionali italiani: il Gran Paradiso a fine 1922, e a breve distanza l’Abruzzo al principio del 1923
Dopo la nuova America e l’antica Mitteleuropa, finalmente anche l’Italia scopre i Parchi Nazionali al principio del Ventesimo secolo. Certo l’idea viene da lontano, perché nella storia di Roma e del Bel Paese non mancavano qua e là sporadici lampi luminosi, come i «boschi sacri», le «difese», le «riserve»: ma si trattava pur sempre di una protezione ispirata piuttosto a ragioni religiose, utilitaristiche o venatorie, e non alla conservazione della natura in quanto tale.
Ora l’esempio innovatore degli Stati Uniti è contagioso, e destinato a diffondersi in ogni parte del mondo. Per un fortunato incontro tra la storia, la cultura e una politica ben più lungimirante di quella attuale, all’inizio del Ventesimo secolo questo seme attecchisce proprio in Italia molto prima che nelle altre penisole mediterranee «tanto benedette dalla natura, quanto maltrattate dagli uomini».
Non vi è dubbio che i primi interventi concreti si manifestano nelle grandi riserve reali di casa Savoia, dall’Appennino alle Alpi. Animali straordinari ormai non più presenti altrove come l’orso, il camoscio d’Abruzzo e lo stambecco corrono il serio pericolo di scomparire, se non si interverrà in tempo. Studiosi di eccellenza, come il botanico Romualdo Pirotta e lo zoologo Alessandro Ghigi, lanciano un vivo allarme: anche la casa reale sembra favorevole a una maggiore protezione dei tesori naturali sopravvissuti nelle impervie montagne. Esiste un precedente illustre, perché già nell’Ottocento erano state emanate in difesa dello stambecco le cosiddette «regie patenti», ispirate però soprattutto al desiderio di poter continuare a cacciare.
Una grande occasione si presenta in Abruzzo, dove davvero il bellissimo e quasi sconosciuto camoscio degli Appennini napoletani, com’era allora definito, corre il rischio di scomparire per sempre. Ecco allora il re emanare nel 1913 uno speciale decreto di protezione del piccolo nucleo di ungulati ormai rifugiati sulle aspre balze della Camosciara, istituendo così di fatto la prima riserva naturale italiana.
Nel frattempo, un entusiasmo crescente contagia anche gli ambienti culturali e politici, e a sostenere con vigore l’idea di istituire un parco nazionale sul modello americano si fa avanti un giovane parlamentare abruzzese, Erminio Sipari, cugino di Benedetto Croce allora ministro dell’Istruzione. Ma l’apparato pubblico si muove con troppa lentezza, e allora i promotori accelerano i tempi costituendo nel 1921 un proprio ente autonomo e riuscendo poi, con il consenso delle autorità locali e grande afflusso di pubblico, a inaugurare il Parco come iniziativa privata il giorno 9 settembre 1922.
Questa coraggiosa iniziativa ebbe il merito di accelerare l’iter legislativo, e finalmente vennero approvate le leggi che istituivano i due primi parchi nazionali italiani: il Gran Paradiso a fine 1922, e a breve distanza l’Abruzzo al principio del 1923.
Seguì un periodo molto confuso della storia italiana, ma una decina di anni più tardi, nel 1934, si riuscì a salvare dalla bonifica a tappeto delle Paludi Pontine un buon tratto di costa, foresta e promontorio, creando il parco nazionale del Circeo, cui seguì nel 1935, in una delle più belle catene alpine ai confini con l’Engadina Svizzera, quello dello Stelvio.
Ma nel frattempo, una tempesta imprevista si stava abbattendo su Abruzzo e Gran Paradiso. In quel difficile periodo della storia d’Italia la dittatura soppresse gli organismi autonomi che governavano quei parchi, i quali vennero affidati alla milizia forestale e vissero uno dei periodi più infelici della loro storia, mentre la società dell’epoca li ignorava, e il bracconaggio sferrava concentrici attacchi.
La riscossa della natura si manifesterà soltanto nel dopoguerra, in quel clima di ripresa e rinnovamento che porterà al cosiddetto «miracolo italiano»: vengono ricostituiti gli enti di gestione, che riprendono ad operare sia pur tra momenti di crescita e periodi di crisi, sforzandosi di ricostituire il patrimonio faunistico seriamente compromesso nel periodo bellico. Ma quel miracolo tanto decantato non porterà solo benefici, perché con l’incremento del benessere, del tempo libero e della mobilità, si materializzano anche nuovi assalti al territorio e danni all’ambiente. Al principio della «modernizzazione» del Paese, il fervore dei naturalisti sembra arenarsi, e segue un confuso periodo di interminabili discussioni, destinato a proseguire fino agli anni Novanta: con una sola, tenue eccezione allorché nel 1968 viene fortunosamente istituito il frammentato parco della Calabria.
Fondate sulla nuova Costituzione, che tutela il paesaggio ma ignora la natura, molte proposte di legge vengono presentate per istituire parchi e riserve che proteggano i luoghi più preziosi del «Bel Paese»: ma nessuna giunge a compimento, mentre proprio questi siti ricercati sono sempre più assediati da strade, impianti e insediamenti produttivi. Sta di fatto che negli anni Settanta, entrata ormai di diritto nell’era contemporanea come uno dei Paesi più ricchi del mondo, l’Italia protegge, e abbastanza malamente, appena l’1,5% del proprio splendido territorio.
Ma intanto spira il vento nuovo dell’ecologia, nascono i movimenti ambientalisti, si formano gruppi di cittadini sensibili alla conservazione del «volto amato della Patria». Viaggiando, molti scoprono finalmente la realtà dei parchi nazionali negli altri Stati, sviluppati o emergenti, restando impressionati dal contatto non solo estetico e letterario con la natura, le foreste e gli animali selvatici. E dalla piccola Università di Camerino, nelle Marche, parte nel 1980 un segnale rivoluzionario: qui il Comitato Parchi lancia la «sfida del 10%», l’Italia dovrà proteggere almeno un decimo del proprio territorio entro l’anno 2000. L’appello viene accolto dapprima con meraviglia, scetticismo e derisione. Se in oltre un secolo di unità nazionale non si è riusciti a difendere più della centesima parte del Paese, come si può pensare di decuplicare questo risultato in vent’anni? Gli interessi da contrastare sono enormi, in questo campo una cultura arretrata e una politica distratta brancolano nel buio, ma l’entusiasmo tra i giovani è grande, il messaggio si diffonde e una dopo l’altra le Associazioni ambientaliste si uniscono alla campagna, che vede i parchi sempre più vivi e presenti sui media e nell’immaginario collettivo.
Vengono riesumate le vecchie proposte di legge, e di fronte alla poco mirabolante attenzione del parlamento si decide di consacrare il 1990 come «anno dei parchi», per offrire una nuova carica di speranza e di fiducia a questo passo decisivo verso la civiltà. Non a caso, verso la fine dell’anno successivo la legge viene finalmente approvata, e si apre finalmente il cammino non facile né rapido per la sua attuazione concreta. Intanto si avvicina la fine del secolo, e all’avvento del Terzo Millennio una semplice constatazione lascia tutti a bocca aperta: partita da un pugno di isolate realtà a stento protette, l’Italia possiede ormai (come vedremo meglio in seguito) una ventina di importanti parchi nazionali, con accanto numerosi parchi regionali e centinaia di riserve, sia terrestri che marine. La superficie di territorio tutelato per le future generazioni non solo ha raggiunto, ma anche ampiamente superato un decimo del Paese: innegabilmente, la folle «sfida del 10%» è stata vinta con onore, a dispetto di seri ostacoli e di nefaste previsioni. Si aprirà dunque una pagina nuova per i nostri parchi nazionali.