Con questa premessa non mi propongo di girare al largo per tenermi un po’ lontano dagli argomenti ambigui dell’«egoismo» e della «solidarietà» e per non rischiare di insabbiarmi nella fissità retorica di questi temi che, come tutti quelli associabili alle categorie del bene e del male, contengono, già nei loro titoli, le insidie di domande e risposte precostituite. Vorrei, solo, cercare di non dare sostegno al perverso meccanismo deterministico che porta fatalmente, in assenza di un più generale panorama di argomenti, ad avvilenti semplificazioni e inconcludenti contrapposizioni.
Vorrei non offrire a qualcuno una qualsiasi ragione, anche involontaria, in favore di quella ritualità dualistica, che impone due sole visioni della vita irriducibilmente distinte, ognuna delle quali può vantare una propria superiorità. Non vorrei che si diffondesse quella prassi deviata dell’individuazione formale ed estemporanea di un male distinto da tutto il resto che diventa, per definizione sottrattiva, un bene. È questa una prassi, priva di valutazioni di merito, che consente, senza alternative, o di invocare arbitrariamente la bontà di un «sano egoismo» (proposto, per esempio, come opportunità di sviluppo economico a favore di tutti), o di dare sostegno a tutte quelle buone e illuminate «intenzioni di solidarietà», che nelle nostre «civiltà avanzate» sono impotentemente esposte a scivolose e fatali strumentalizzazione.
C’è un «male» entropico, infatti, che incombe e che, con la sua rovinosa tendenza a degradare le buone energie vitali, alla fine si impone, su tutti e su tutto, come un ineluttabile destino.
Sono preoccupato dall’egemonia di quell’insulso «senso comune delle cose» che dispone di giudizi compiuti ancor prima di affrontare gli argomenti. Ma, su un altro fronte, sono anche preoccupato di non indurre qualcuno ad immaginare che vi possano essere, senza un nostro condiviso e faticoso lavoro, proposte alternative, solo da somministrare, per passare automaticamente a realizzare un «bene comune» e a valutare con più «senso» le cose di questo nostro mondo.
In questi scenari è, dunque, necessario un nostro fertile impegno per favorire il progresso umano e per non far precipitare tutto nei meccanismi di una crescita insostenibile dei consumi.
Mi sembra, allora, sia vantaggioso tentare di aprire uno spiraglio su due aspetti chiave, che i temi della solidarietà e dell’egoismo, possono suggerire all’attenzione generale, ad ogni più libera argomentazione e ad eventuali auspicabili confronti. Il primo è sui meccanismi della «contrapposizione» e dei conseguenti «comportamenti» umani, il secondo è sulle «applicazioni» e sugli «effetti» dei meccanismi della «contrapposizione» nei processi relazionali e di governo in una comunità democratica. Non mi propongo certo, qui e da solo, di individuare problemi nodali e tantomeno di proporre soluzioni, ma di sollecitare la nostra attenzione sul tema del ruolo svolto dalle «contrapposizioni» nella nostra cultura.