America Latina, il regno della biodiversità

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È il continente dei mari caldi traboccanti di pesci variopinti, specialmente tra Caraibi e Bahamas: ma è anche l’ambiente degli scenari maestosi, dai vulcani del Messico e Guatemala agli enormi tepuy, singolari torrioni rocciosi del Venezuela

Pochi continenti godono dell’immensa varietà di ambienti, paesaggi e vita che arricchisce e colora l’America Latina, e cioè quella parte del Nuovo Mondo che include l’America Centrale e Meridionale. Dal Tropico al Polo, dagli Oceani alle Ande: ecco le giungle del Giaguaro e i cieli del Condor, le montagne della Vigogna e i mari degli Elefanti marini. Dove dalle impervie montagne Rocciose discendono guardinghi i Leoni di montagna, e dai ghiacci dell’Antartide risalgono curiosi i goffi Pinguini. E dove la natura sfoggia i più impressionanti contrasti, dalla sterminata selva Amazzonica all’arido deserto di Atacama.

Se il Messico è il Paese dove nacquero i primi Parchi Nazionali (nel 1876 quello del Deserto di Los Leones presso Città del Messico, e nel 1898 quello dei vecchi alberi di El Chico, nello Stato di Hidalgo) va riconosciuto che la repubblica di Costa Rica vanta il primato delle Aree Protette, tutelando il 25% della propria superficie. Né va taciuto che altri Stati, Colombia, Brasile e Perù, si contendono il primato della biodiversità, con lembi di territorio dove ogni ettaro di foresta può talvolta ospitare un centinaio di alberi diversi, più o meno quanti ne possa vantare l’intera Europa.

È il continente dei mari caldi traboccanti di pesci variopinti, specialmente tra Caraibi e Bahamas: ma è anche l’ambiente degli scenari maestosi, dai vulcani del Messico e Guatemala agli enormi tepuy, singolari torrioni rocciosi del Venezuela. Spingendosi fino alle isole più straordinarie del globo, come le Juan Fernandez di Robinson Crusoe e l’isola di Pasqua, che appartengono al Cile, le Galapagos di Charles Darwin dell’Ecuador e la remota «isola del tesoro» di Cocos, di cui è proprietaria la Costa Rica.

L’esplorazione di questa natura a tratti folgorante e a tratti severa non può ancora dirsi conclusa, e certamente non delude mai. Perché è proprio qui che si incontrano le maestose cascate dell’Iguazù, nell’omonimo parco nazionale al crocevia tra Argentina, Brasile e Paraguay. Ed è qui che poi, risalendo il fiume Orinoco in Venezuela, ci si imbatte nelle cascate più alte del mondo, il salto Angel di quasi mille metri, nel cuore del parco nazionale Canaima.

In giro per i parchi sudamericani

Certamente il parco più insolito e famoso del Sudamerica è quello delle Isole Galapagos: Isabella, Santa Cruz, San Cristobal, Floreana, creato nel 1935 per commemorare la storica visita di Darwin a bordo del Beagle. Piante rare, strane e arcaiche, ma soprattutto animali unici popolano questo arcipelago dove sbocciò, in fondo, la moderna teoria dell’evoluzionismo: come la celebre Tartaruga gigante, l’Iguana di terra e quella di mare, il Cormorano attero (con le ali ridotte a piccole appendici) e il Pinguino delle Galapagos, oltre a numerose specie di uccelli, specialmente Fringuelli diversi in ogni isola… Tutti endemici, vale a dire «esclusivi» di questi luoghi e assenti in ogni altra parte del mondo.

Ma non meno visitato è il parco Iguazù (nella foto, N.d.R.), nella regione Misiones, la punta più settentrionale e calda dell’Argentina. Chi vi si avventuri lungo gli itinerari ben tracciati della foresta tropicale circostante avverte un crescente frastuono di acque, e poi si trova improvvisamente di fronte allo spettacolo mozzafiato di 275 cascate su un fronte di quasi 4 chilometri, con salti che a tratti superano i 60 metri d’altezza. Uno scenario grandioso, in perenne movimento, ineguagliabile simbolo della forza della natura.

Sempre nella terra della pampa, più a meridione, s’incontrano le più aride e sterminate terre della Patagonia, dove può avvenire di vedere il guanaco, lontano parente del cammello e cugino della vigogna, o il piccolo struzzo detto nandù di Darwin. Ma la parte più interessante è la penisola Valdez, che si protende verso l’Oceano Atlantico con dirupate falesie e spiagge solitarie. Chi si affacci verso il mare avrà la sorpresa di scoprire su quelle spiagge intatte uno strano affollamento non di bagnanti, ma di animali marini, come le Otarie dette anche Leoni di mare, e gli Elefanti di mare, i cui maschi giganteschi possono raggiungere persino 4 tonnellate di peso.

Ben diverso, e verdissimo, si presenta il territorio del Brasile, dal Mato Grosso al Pantanal, fino all’immenso bacino del Rio delle Amazzoni. La ricchezza della foresta tropicale, un tempo ritenuta inesauribile, viene oggi purtroppo sempre più intaccata da tagli selvaggi, incendi, strade, coltivazioni itineranti e allevamenti semibradi. Il primo parco nazionale, Itatiaia, sorse nel 1937 non lontano dalle maggiori città brasiliane: Rio de Janeiro, San Paolo, Belo Horizonte. Altri parchi seguirono, ma rappresentano semplici gocce d’acqua nel mare: perché al momento attuale diventa sempre più imperativo tutelare gran parte della selva Amazzonica, dove si celano non solo piante e animali senza eguali, ma anche le ultime tribù di Indios sopravvissute, molte delle quali chiedono solo di restare lontane dai mali di un progresso sempre più devastante.

Dagli Appennini alle Ande

Ed è infine dal lontano Perù affacciato sull’oceano Pacifico, e soprattutto dal cuore delle Ande, che giungono notizie confortanti. Un animale di alta montagna che si trasforma, da specie a rischio di estinzione, in vero e proprio simbolo del riscatto della natura: si tratta della Vigogna, creatura timida e innocente capace di vivere a 4.000 metri di quota nella dura «puna», uno dei luoghi più inospitali, su pascoli che non sosterrebbero nessun tipo di animale domestico. Oltre trent’anni fa anche l’Italia aveva preso parte a una spedizione internazionale alla Riserva di Pampa Galeras, dove sopravviveva un ultimo nucleo di questa specie minacciata, che contava non più di qualche migliaio di individui. Si lanciò allora un ampio programma di recupero, dimostrando che la Vigogna, anziché finire miseramente abbattuta, poteva essere molto più utile viva, fornendo ottima lana, e coinvolgendo i «campesinos» nella sua salvaguardia e gestione. Oggi le Vigogne sono aumentate ad oltre 200mila capi, si stanno nuovamente diffondendo nelle Ande, e assicurano alle genti locali un significativo reddito permanente.

Ecco la migliore dimostrazione concreta del fatto che la vera ricchezza dell’uomo non consiste nel distruggere la natura, ma piuttosto nel conservarla con cura, raccogliendone i frutti con intelligenza. Un esperimento da ripetere mille volte, dovunque una comunità locale grande o piccola, tradizionale o moderna, voglia davvero assicurarsi un futuro.