Grazie al laser e alle alte pressioni. I risultati di una ricerca presentati sulla rivista «Pnas». La strada per abbassare i costi
La ricerca di combustibili «puliti» si scontra con gli altissimi costi di produzione, dal punto vista economico ma anche ambientale.
È così anche per l’idrogeno, ma uno studio realizzato al Lens (Laboratorio europeo di spettroscopie non lineari) dell’Università di Firenze apre la strada a nuovi metodi di sintesi efficienti e di basso impatto ambientale.
Il gruppo di ricercatori fiorentini, coordinati da Roberto Bini, ha presentato sulla rivista scientifica internazionale «Pnas» («Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America») i risultati di un lavoro che riguarda la sintesi di idrogeno dall’acqua miscelata con azoto o monossido di carbonio utilizzando solo pressione e luce.
Sia l’impiego della pressione e della luce per indurre la reazione che quello dell’acqua come reagente rappresentano un metodo del tutto innovativo.
«L’impiego dell’acqua è ovviamente di estremo interesse in quanto fonte rinnovabile e a basso costo – spiega Roberto Bini -. Va infatti specificato che attualmente il 96% dell’idrogeno viene prodotto da fonti non rinnovabili (carbone e idrocarburi) e solo il 4% dall’idrolisi dell’acqua, che è comunque non conveniente dal punto di vista del computo energetico.
«Altri aspetti di estremo interesse di questo metodo risiedono nel fatto che oltre all’idrogeno si producono, a seconda della o delle molecole miscelate con l’acqua, altri prodotti che possono essere importanti.
«È possibile evitare, inoltre, quando si usino composti contenenti carbonio, di immettere nell’aria l’anidride carbonica prodotta, mantenendola nello stesso ambiente di reazione sotto forma di clatrato idrato.
«Ovviamente la luce laser impiegata nello studio di laboratorio costa molto e non può rappresentare una via praticabile alla sintesi – aggiunge Bini – ma si può però ipotizzare un sistema integrato dove la radiazione usata sia quella solare, in cui il contenuto di Uv vicino, la radiazione necessaria per eccitare l’acqua, è tutt’altro che trascurabile».
La ricerca è stata resa possibile grazie a Firenze Hydrolab, network di laboratori dell’Università di Firenze e del Cnr fiorentino, che per cinque anni hanno svolto ricerca rivolta alla produzione, stoccaggio e utilizzo dell’idrogeno come vettore energetico: il progetto è finanziato dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze.
Il gruppo di ricerca ha già al suo attivo importantissimi risultati ottenuti in ricerche fondamentali riguardanti i principi della reattività in fase condensata, ma anche ricerche di tipo applicativo inerenti, ad esempio, a reazioni di polimerizzazione in sistemi molecolari semplici.
In questi studi le reazioni vengono indotte utilizzando solo mezzi fisici quali la pressione e la luce non impiegando nessun altro agente chimico (solventi, catalizzatori, iniziatori radicalici…) che viene generalmente utilizzato nei tradizionali metodi di sintesi.
Aspetto di grande rilievo, questo, perché alla fine del processo di sintesi tali sostanze devono essere separate, trattate e smaltite con costi notevoli e notevole impatto ambientale. La sintesi di idrogeno dall’acqua realizzata in questo studio è un aspetto particolare di questa ricerca.
Più in dettaglio, spiega Matteo Ceppatelli, il giovane borsista primo firmatario della ricerca, «mediante la luce di un laser a ioni argon, e in particolare una radiazione nel vicino ultravioletto (Uv) a 350 nm, le molecole di acqua sono state eccitate in stati elettronici che, dato il loro carattere dissociativo, danno luogo a radicali OH e atomi di idrogeno.
Queste specie vivono pochissimo tempo (siamo nell’ordine di femtosecondi) per poi ricombinarsi. L’idea di fondo di questo studio si basa sull’impiego dell’alta pressione (in questo studio la fotodissociazione viene effettuata tra 1.000 e 5.000 atmosfere ovvero pressioni realizzabili in grandi impianti industriali) che permette di avvicinare le molecole in modo che il tempo necessario per la ricombinazione delle specie sopra descritte divenga comparabile a quello per una reazione tra il radicale OH (molto aggressivo) e l’altra molecola presente nella miscela.
«Così facendo inneschiamo la reazione e l’atomo di idrogeno può reagire con un altro atomo di idrogeno per dare l’idrogeno molecolare».
«Le molecole impiegate in questo studio, azoto e monossido di carbonio, non sono certo le più efficienti per produrre idrogeno – aggiunge Ceppatelli – infatti ne stiamo studiando altre di gran lunga più adatte per questo scopo.
«La scelta di queste due molecole è dovuta al fatto che l’azoto è la molecola più stabile, e quindi è di per sé un grande successo riuscire a farla reagire, ed è il componente principale dell’aria, quindi si può immaginare, anche se la resa è bassa, come sarebbe affascinante comprimere semplicemente aria arricchita in acqua per generare idrogeno.
«Per quanto riguarda il CO il motivo è opposto, questa molecola è infatti molto reattiva nelle stesse condizioni, e il fatto che riusciamo a farla reagire con l’acqua è una conferma della estrema efficienza dei radicali OH nell’attivare la reazione.
«Va inoltre specificato che la radiazione impiegata può essere assorbita dall’acqua solo attraverso un processo a due fotoni (ovvero due fotoni devono essere assorbiti simultaneamente per consentire la transizione allo stato eccitato che consente la dissociazione della molecola), un’eccitazione diretta richiederebbe infatti luce di energia doppia rendendo inaccessibile il processo di sintesi per finalità applicative. Il fatto che la reazione venga innescata in queste condizioni, dove solo pochissime molecole di acqua vengono eccitate, sottolinea ancora di più l’efficienza del processo».
(Fonte Arpa Toscana)