Per due mesi, trekking, escursioni e incontri pubblici in tutto l’arco alpino. Alla gogna le speculazioni d’alta quota
Parte la VIII edizione della Carovana delle Alpi, la campagna di Legambiente che ogni anno effettua il «check up» dell’ambiente alpino. Anche quest’anno Legambiente percorrerà le Alpi per denunciare le aggressioni al delicato equilibrio degli ecosistemi montani, ma anche alla ricerca di quanti sviluppano impegno e progetti di tutela e salvaguardia della più grande catena montuosa d’Europa.
Nel territorio alpino italiano vivono oltre 4 milioni di abitanti, in un ambiente costellato da migliaia di centri abitati, molti dei quali saranno «tappe» di appuntamenti della Carovana delle Alpi, appuntamenti ed occasioni di incontro per sollecitare i cittadini e i turisti, ma anche le forze economiche e le istituzioni a rendersi protagoniste della sfida della qualità ambientale.
Ma per l’ottava volta la campagna si avvia denunciando il grave ritardo dell’Italia nell’attuazione della Convenzione internazionale per la Protezione delle Alpi, il trattato che in tutti i Paesi confinanti è già nella fase di attuazione e di cui invece il nostro Parlamento, a dieci anni dalla approvazione della legge 403/1999, non ha ancora provveduto alla ratifica dei Protocolli.
Segnali positivi arrivano dal Senato, dove il relativo progetto di legge è stato approvato nei mesi scorsi, la speranza è che il provvedimento veda finalmente la luce, consentendo al nostro Paese di sedersi, con pari dignità, al tavolo degli Stati alpini che si sono impegnati a fare di questo sistema montuoso una regione europea dell’eccellenza ambientale.
«La storia recente delle Alpi è storia di spopolamento delle valli e di perdita dei presìdi chiamati alla gestione e alla sicurezza di un territorio fragile – dichiara Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente – la fase economica che si aprirà dopo la crisi potrebbe agganciare la sfida della Green Economy: se ciò accadrà, su questo percorso la montagna avrà molte carte da giocare grazie alle sue risorse naturali. Quella che oggi è una Italia Minore può trasformarsi in un territorio naturalmente competitivo, che attrae investimenti ed esporta il proprio patrimonio di cultura e identità: ma la politica è chiamata a scelte e orientamenti chiari se davvero vuol far uscire la montagna dalla sua marginalità».
Le speculazioni d’alta quota e la piaga delle seconde case
Tra le 7 segnalazioni legate alle «bandiere nere» di quest’anno ritorna prepotente il tema delle speculazioni d’alta quota: dai comprensori sciistici nelle Alpi Orobie alle villettopoli della Valmalenco, dalla deregulation dell’edilizia turistica in Val D’Aosta ai villaggi alpini in Carnia, e infine ai resort sulla Marmolada, la regina di quelle Dolomiti da quest’anno iscritte al Patrimonio Mondiale dell’Umanità: nonostante il rallentamento dovuto alla crisi, il ciclo del cemento continua ad alimentare progetti di valorizzazione turistica il cui obiettivo è solo quello di creare nuove volumetrie e aumentare quelle esistenti (magari anche con la benedizione dei «piani casa» approvati dalle regioni in questi mesi).
Quella delle seconde case è ormai una vera e propria piaga ambientale, che alimenta malessere nelle comunità che ne sono afflitte e degrado dei paesaggi più preziosi. Oltre alla segnalazione di casi eclatanti individuati dalle «Bandiere Nere» di quest’anno, Legambiente sta lavorando alla redazione di un dossier, per fare il punto, dati alla mano, della situazione nelle località turistiche dell’intero arco alpino.
«Seconde case in alta quota e capannoni nei fondovalle: non può essere questa la fotografia delle Alpi, ma sappiamo che in troppi casi il cemento speculativo è visto come àncora di salvezza per le esangui casse dei comuni – dichiara Damiano Di Simine, responsabile dell’Osservatorio Alpi di Legambiente – la salvaguardia dei suoli, e in primo luogo delle superfici destinate all’agricoltura e al pascolo, è diventata una priorità assoluta per le aree montane, che hanno ben altre carte da giocare per impostare uno sviluppo basato sulla valorizzazione delle proprie risorse territoriali».
L’acqua delle Alpi ha un futuro?
Tra le 10 «bandiere verdi» spiccano quelle relative alla gestione dei corsi d’acqua alpini, imbrigliati da mille dighe e derivazioni, su cui da anni sono in corso conflitti tra gli interessi delle popolazioni e quanti invece chiedono concessioni per realizzare opere di presa che lasciano in secca intere aste di torrenti e ruscelli.
Casi positivi segnalati sono quelli relativi alla Provincia di Trento, tradizionalmente attenta al tema delle acque, che ha introdotto misure rigorose e verificabili per il rispetto dei deflussi da garantire a valle delle opere di presa, e quello della provincia di Sondrio, che nei giorni scorsi ha ottenuto un risultato «storico» in una vertenza che ha visto comitati e associazioni ambientaliste valtellinesi mobilitate per ottenere nuove regole che impedissero l’assalto predatorio ai corsi d’acqua: l’approvazione di un vero e proprio piano territoriale e di regole, posto in immediata salvaguardia dall’Autorità di Bacino del fiume Po, rappresenta una grande innovazione nella governance delle acque, e un esempio da seguire per tutti i territori dell’arco alpino. In questo caso la bandiera verde di Legambiente ha premiato la determinazione e l’efficacia di un’azione istituzionale di cui la Provincia ha svolto una funzione di capofila, ma resa possibile dal forte, vigile e autentico movimento popolare di una intera vallata.
Molte segnalazioni poi si riferiscono al lavoro, spesso minuto, sviluppato da associazioni, comuni, parchi e imprese che, dalle Alpi Liguri alla Carnia, spesso remando controcorrente, sviluppano progetti e azioni locali per la valorizzazione del patrimonio naturale e culturale del proprio territorio.
«Piccole azioni in cerca di sistema – commenta Damiano Di Simine – la buona volontà, l’impegno e gli investimenti economici attivati da tanti attori presenti nel territorio alpino sono una testimonianza di vitalità, che invoca una cornice di azioni e programmi regionali e nazionali capaci di fornire un quadro comune per produrre un differenziale di qualità dello sviluppo locale, il cui riferimento non può che essere la Convenzione Internazionale per la Protezione delle Alpi».