Rifiuti – In Europa poca prevenzione

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Studio dell’Eea fa il punto sulla situazione e definisce le politiche adottate

Il report dell’Agenzia europea per l’ambiente (Eea), recentemente diffuso, «Diverting waste from landfill» esamina gli effetti della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti, affermando che la direttiva stessa è stata e può essere ancora un valido aiuto per le amministrazioni nella definizione di politiche, a medio e lungo termine, per la migliore gestione dei rifiuti.

La direttiva cerca di incentivare il riuso, il riciclo e il recupero stabilendo al contempo che gli stati membri devono ridurre la quantità di rifiuti urbani biodegradabili conferiti in discarica:

Al 2006 del 75% del totale in peso della quantità prodotta dal 1995;

Al 2009 del 50%;

Al 2016 del 35%.

Lo studio ha come scopo quello di analizzare l’efficacia delle politiche adottate dai singoli stati membri dal momento che esistono diversi modi per ridurre la percentuale di rifiuti portati in discarica (ad esempio la riduzione della produzione, il riciclo, il recupero energetico).

Nello studio si analizzano le politiche che hanno dato migliori risultati, per quali motivi e i fattori del successo o dell’insuccesso.

Dieci anni dopo l’entrata in vigore della direttiva, l’Eea si chiede se questa direttiva ha conseguito risultati e quali strategie nazionali e regionali si sono rivelate più efficaci. Lo studio è basato sulla valutazione di cinque stati (Estonia, Finlandia, Italia, Germania e Ungheria) e una regione (Fiandre, Belgio) e vuole rispondere a quattro domande:

– in che modo sono cambiate le strategie per la riduzione dei rifiuti negli ultimi dieci anni;

– in quale misura questi cambiamenti sono dovuti alla direttiva 31/1999 o ad altri strumenti europei;

– quali strategie hanno seguito gli stati membri;

– quali di queste si sono rivelate più efficaci.

Gli stati sono stati scelti secondo questi criteri:

– varietà di misure adottate per la riduzione dei rifiuti;

– varietà di dimensioni;

– diversità nel tempo di permanenza nell’Ue (alcuni stati membri vecchi e altri nuovi);

– diversità demografica e geografica.

Più o meno tutti gli stati presi in esame cercano di operare sia sui comportamenti dei singoli cittadini sia su quelli delle realtà produttive: i metodi più utilizzati prevedono una combinazione del riciclo, dell’incenerimento (anche con recupero di energia) e dei trattamenti biologici.

Per conformarsi alla direttiva, alcuni paesi hanno aumentato i costi del conferimento dei rifiuti in discarica: questo tipo di misura economica ha avuto un effetto dove, contemporaneamente, sono state promosse politiche di educazione dei cittadini.

L’educazione, insieme alla comunicazione mirata, ha avuto (e dovrà avere) dovunque un ruolo fondamentale; infatti, un problema che si sono trovati ad affrontare i paesi è quello relativo al collocamento sul mercato dei prodotti riciclati. In Finlandia e in Ungheria, per esempio, esisteva un pregiudizio nell’utilizzo di fertilizzanti ottenuti dalla frazione umida dei rifiuti. Il problema non era la qualità del compost ma la sua «immagine»: per questo il dialogo con gli stakeholder e l’adeguata comunicazione non possono essere trascurati.

In generale si può dire che la direttiva ha avuto più impatto in quei paesi dove le politiche di riduzione dei rifiuti non erano ancora partite, o erano all’inizio, al momento dell’entrata in vigore della direttiva (come l’Estonia, l’Italia e l’Ungheria), mentre, in Germania e nelle Fiandre, dove esistevano già misure orientate a questo scopo, l’effetto è stato meno rilevante.

Gli stati membri dell’Unione europea possono essere raggruppati in tre classi secondo le loro politiche di riduzione di rifiuti conferiti in discarica:

– i paesi che hanno un’alta percentuale di rifiuti riciclati (>25%) e inceneriti (>25%). Sono quelli che hanno da molti anni (ancora prima della direttiva) attuato strategie per raggiungere l’obiettivo (Francia, Germania, Austria, Danimarca, Svezia, Olanda…);

– i paesi che hanno un’alta percentuale di riciclaggio (>25%) e media di incenerimento (

– i paesi che hanno ancora una dipendenza dalle discariche relativamente alta (Grecia, Portogallo, Repubblica Ceca, Ungheria, Romania…).

Le diverse condizioni sociali, economiche e geografiche dei paesi studiati, hanno determinato l’attuazione di diverse strategie: non è possibile, evidentemente, attuare le stesse politiche in tutta Europa.

Grazie alla flessibilità della direttiva, che ha fissato limiti nel medio e lungo termine, è stato possibile tenere conto delle varie strutture e tecnologie esistenti nei paesi.

Il punto forte della direttiva è stato quello di lasciare tempo ai diversi stati per adeguarsi ai limiti anche se non ci sono evidenze che questa direttiva abbia avuto risultati nella prevenzione della produzione dei rifiuti e nella riduzione della percentuale di materiale conferito in discarica.

(Fonte Arpat, Testo a cura di Silvia Ocone)