Il 2009 è l’anno del cemento

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È la fotografia dell’Italia fatta dall’Associazione: 230 mq di urbanizzazione per ogni italiano

Un territorio quasi saturo, sparpagliato, cosparso a macchia di case, strade e capannoni, una specie di città diffusa che sembra più una metastasi che una città, con oltre 3,5 milioni di ettari, di cui 2 milioni di terreni agricoli, divorati dal cemento negli ultimi 15 anni (una superficie grande quasi quanto il Lazio e l’Abruzzo messi insieme, a un ritmo di 244.000 ettari all’anno); oltre 8.000 comuni e 8.000 piani regolatori diversi, 12,8 milioni di edifici, 27 milioni di unità abitative (per il 20% non abitate!) e una serie di piani casa in corso di definizione. Il tutto collegato da più di 200.000 km di strade che frammentano il territorio come fosse un mosaico, e un piano di «infrastrutture strategiche» (la Legge Obiettivo) che danneggerebbe 84 aree protette e 192 Siti di importanza comunitaria (Sic), tutelati dall’Unione europea. Mentre dall’altro lato la crescita demografica è limitata se non assente (a Palermo la popolazione è aumentata del 50%, l’urbanizzazione del 200%). È la impietosa fotografia sull’Italia scattata nel dossier «2009 L’anno del Cemento», a cura del Wwf con contributi di Bernardino Romano e Corrado Battisti dell’Università dell’Aquila.

I Piani casa…

I piani casa regionali non fanno che peggiorare la situazione. Dopo lo scontro con il Governo sulle competenze istituzionali avvenuto a marzo, le regioni sembrano essersi accorte di avere un potere che non esercitavano appieno e hanno provveduto in modo disomogeneo a sedicenti piani casa che aprono a pesanti interventi anche sugli immobili industriali e artigianali e, in alcuni casi, consentono pericolose semplificazioni autorizzative. Con un effetto se possibile peggiore rispetto al testo iniziale del Governo, giustamente bloccato. Le situazioni sul territorio nazionale sono differenti, ma in sostanza viene ammesso praticamente ovunque un incremento di cubatura del 20% che può arrivare a oltre il 30% se accompagnato dalla messa in efficienza energetica degli edifici.

Molte regioni (tra cui Piemonte e Lombardia) consentono l’ampliamento dei capannoni senza che questo sia in alcun modo condizionato da un adeguamento dei servizi, compresi quelli di viabilità. Altre consentono il cambio di destinazione d’uso e forme di comunicazione dei lavori, che non solo fanno saltare i permessi a costruire (le vecchie concessioni edilizie) ma addirittura anche le dichiarazioni inizio attività. Il risultato è che si aumenta potenzialmente e senza controllo non solo la cubatura ma anche la densità abitativa, senza che questo sia condizionato da servizi e standard urbanistici come ad esempio il verde pubblico.

Un’urbanizzazione crescente

Nel nostro Paese l’urbanizzazione, cresciuta del 500% dal 1956 al 2001, ha raggiunto un picco tale che a ogni cittadino possono esserne attribuiti in media ben 230 mq. Per dare un’idea, basti pensare che più di 100 Comuni hanno urbanizzato oltre il 50% della propria estensione e che solo il 14% del territorio nazionale dista più di 5 km da un centro urbano (il 28% più di 3,5 km), vale a dire che in Italia non è sostanzialmente possibile tracciare un cerchio di 10 km di diametro senza intercettare una zona costruita! Quasi il 60% dell’urbanizzazione si concentra nelle pianure, che coprono il 18% del territorio italiano, tanto che secondo alcuni ricercatori se continuiamo così entro pochi decenni non ci saranno più aree pianeggianti libere da cemento e asfalto. Ma anche gli 8.000 chilometri di costa, le colline pedemontane, le aree lungo i fiumi e perfino le piccole isole e le aree agricole non vengono risparmiate. Un trend che, con la scusa di un rilancio economico che andrebbe a rafforzare un comparto edile in realtà costantemente in crescita, è destinato a degenerare in un effetto domino che apre allo scempio, con gravissime ripercussioni sul benessere di tutti gli italiani.

Sì, perché il territorio libero non è solo un bel paesaggio da guardare dal finestrino della propria auto, ma è condizione imprescindibile per mantenere gli ecosistemi vitali e garantire i servizi, indispensabili anche per l’uomo, che sono in grado di offrire (acqua, aria, cibo, protezione…). Oltre a causare la scomparsa di specie animali e vegetali, comprese quelle agricole e forestali, e la riduzione di materie prime che sono alla base della nostra economia, l’urbanizzazione crea una barriera orizzontale tra suolo, aria e acqua che interferisce con le loro funzioni: viene impedita la ricarica delle falde acquifere, aumentano i rischi di inondazioni, si riduce la capacità di assorbimento del carbonio e quindi la capacità di contenere le modificazioni climatiche, vengono distrutti e frammentati gli habitat, con un conseguente crollo della biodiversità, in particolare per grandi carnivori come l’orso, che necessitano di ampi spazi vitali.

«Il territorio, fondamentale per assicurare il benessere di tutte le forme viventi compreso l’uomo, è una risorsa esauribile e irrecuperabile. Ma in Italia il continua a essere cementificato in maniera sempre più accanita, dalle pianure alle coste, fino ai luoghi più impervi – ha dichiarato Gaetano Benedetto, co-direttore generale del Wwf Italia -. Se la nostra classe politica ed amministrativa fosse in grado di comprendere le conseguenze di questi dati, certamente nessuno si azzarderebbe a proporre piani casa quali quelli che si stanno vendendo in queste settimane. L’iniziativa sul piano casa del Governo giustamente fermata dalle regioni si è trasformata in una sorta di boomerang sul territorio. Un effetto domino che, nonostante la procedura formalmente più corretta sotto il profilo istituzionale riversa ovunque ancora più cemento, se possibile, di quanto lo stesso Governo non avesse ipotizzato».

Biodiversità a rischio

L’Italia, che ospita ben 12.000 specie di piante e 57.468 specie animali, di cui 4.777 endemiche (ovvero esclusive del nostro Paese), oltre a una grande varietà di ambienti naturali, è contemporaneamente uno dei Paesi europei più ricco di biodiversità e maggiormente a rischio riduzione o perdita di questo patrimonio biologico. Allo stesso tempo, è tra i primi Paesi produttori e consumatori di cemento in tutta Europa (47,5 milioni di tonnellate nel 2007, di cui il 70% destinato all’edilizia), un settore «controllato» da 1.796 imprese che danno lavoro a «soli» 14.000 addetti, e che ha creato in Italia un totale di 16.000 cave (di cui 10.000 abbandonate) trasformando il nostro territorio in una vera e propria gruviera. E buona parte di questo cemento viene riversato proprio sulle aree più importanti per la biodiversità, ovvero coste, fiumi e aree agricole.

«Lo Stato deve riprendere il proprio ruolo – conclude Gaetano Benedetto, co-direttore generale del Wwf Italia -. Le competenze urbanistiche rientrano nel più vasto concetto di governo del territorio introdotto nel 2001 con la riforma del titolo quinto della Costituzione. Questo significa che la materia non è esclusiva competenza delle regioni, ma appartiene in parte anche allo Stato, che ha il dovere e il diritto di indirizzare e rendere coerenti gli interventi sul territorio. Lo Stato sino ad oggi non ha esercitato questa sua competenza e il risultato è un patchwork indigesto che aggrava una situazione pesante già preesistente e segnata da milioni di abusi, molti dei quali ancora con le pratiche condono ancora aperte».

(Fonte Wwf)