Il 2009 è stato il terzo anno peggiore. L’associazione chiede la riduzione dei gas serra del 40% entro il 2020
Si registra oggi il minimo annuale di estensione dei ghiacci dell’Artico. Il 2009 si classifica al terzo posto, dopo 2007 e 2008, tra gli anni peggiori per la perdita di superficie della calotta polare artica. Un altro segnale d’allarme per i leader del mondo che al vertice di Copenhagen dovranno trovare un accordo per evitare cambiamenti climatici catastrofici.
La nave rompighiaccio di Greenpeace, l’Arctic Sunrise, prosegue la sua spedizione nell’Artico e si trova ora al largo della costa nord-orientale della Groenlandia, di fronte all’arcipelago norvegese delle Isole Svalbard. A bordo si è aggiunto Peter Wadhams, esperto di fama mondiale che utilizzerà l’Arctic Sunrise come piattaforma per le proprie ricerche sullo stato di riduzione dei ghiacci dell’Oceano Artico.
«Stiamo entrando in una nuova epoca di fusione dei ghiacci dell’Oceano Artico a causa del riscaldamento globale – spiega il dott. Peter Wadhams -. Nel giro di vent’anni l’Artico arriverà alla fine del periodo estivo completamente privo dei ghiacci che ricoprono il mare. Non possiamo più fare affidamento sui modelli di previsione usati fino ad oggi, che hanno sovrastimato le condizioni reali già dagli anni 80».
Peter Wadhams, dell’Università di Cambridge, è a capo di un gruppo di scienziati indipendenti che sta studiando le differenti velocità di fusione di vari tipi di ghiaccio, per spiegare come mai alcune aree dell’Artico stanno scomparendo più velocemente di quanto si prevedeva.
«L’estensione dei ghiacci dell’Oceano Artico diminuisce da oltre trent’anni, ma nell’ultima decade abbiamo assistito a una preoccupante accelerazione del fenomeno – ricorda Francesco Tedesco, responsabile della Campagna Clima di Greenpeace -. Nell’estate del 2007 si è raggiunto infatti il minimo storico, circa 4,3 milioni di chilometri quadrati, un valore che era previsto per il 2080».
«È il terzo minimo in tre anni: l’ennesimo grido d’allarme sullo stato del Pianeta – afferma Melanie Duchin, capo spedizione a bordo dell’Arctic Sunrise -. I leader del mondo devono rendersi conto del pericolo che corriamo e impegnarsi per raggiungere a Copenhagen un accordo coraggioso, ambizioso ed efficace».
Greenpeace chiede che i Paesi industrializzati si impegnino a ridurre le proprie emissioni di gas serra del 40% entro il 2020, rispetto ai valori del 1990, e a fornire risorse finanziarie ai Paesi in Via di Sviluppo pari ad almeno 110 miliardi di euro all’anno fino al 2020, così da aiutarli a ridurre la crescita delle loro emissioni del 15-30% al 2020.
(Fonte Greenpeace)