In estinzione in tutto il mondo almeno una specie su tre. In Italia quasi scomparsi il Discoglosso dipinto, l’Ululone appenninico e il Pelobate fosco
L’impatto con i cambiamenti climatici e con l’azione dell’uomo si fa sempre più sentire in natura. Gli anfibi sono fra gli animali che di più ne stanno risentendo, come ha anche documentato un primo studio globale dell’Iucn.
«Gli anfibi stanno affrontando un rapido declino ed una rapida estinzione in tutto il mondo e almeno una specie su tre delle oltre 6.000 specie è a rischio di estinzione le minacce conosciute comprendono l’uso commerciale, le specie introdotte, gli agenti contaminanti, il cambiamento climatico e, in modo particolare, il cambiamento di destinazione d’uso del terreno e le malattie infettive; la combinazione di queste minacce colpisce gli anfibi con modalità che non hanno precedenti, rendendoli la classe di animali con il più alto rischio collettivo di estinzione».
È l’allarme contenuto in una dichiarazione fatta da un gruppo di conservazionisti e scienziati erpetologi tra i più esperti al mondo, riunito dalla Commissione sulla Sopravvivenza delle Specie dell’Iucn, incontrandosi al primo Mini Summit sugli Anfibi, presso la Zoological Society di Londra.
L’alalrme è particolarmente grave se si considera che «gli anfibi sono indicatori della qualità dell’ambiente, ed hanno un’importanza significativa da un punto di vista ecologico, economico, culturale, scientifico, medico ed educativo».
Queste le iniziative prioritarie indicate, da essere implementate attraverso un’azione di conservazione integrata in situ ed ex situ:
- Fermare le estinzioni degli anfibi minacciati dal cambio di destinazione d’uso della terra o dall’uso commerciale
- Fermare la diffusione ed invertire l’impatto di malattie infettive causate agli anfibi da alcuni funghi della divisione dei Chitridi.
Per conoscere la situazione italiana, Jacopo Pasotti ha rivolto alcune domande a Pierluigi Bombi, biologo, che insieme a Manuela D’Amen dell’Università 3 di Roma ha pubblicato il risultato di uno studio sulle cause del declino degli anfibi nella penisola.
Ecco alcune domande dell’intervista, il testo completo è sul suo blog.
Una delle ragioni principali per la sparizione degli anfibi è lo sfruttamento incontrollato (over-exploitation) come risorsa di caccia. Mi puoi spiegare meglio?
Per over-exploitation si intende il prelievo diretto da parte dell’uomo di individui vivi in natura. Gli scopi del prelievo possono essere molti. Nel caso degli anfibi i più comuni sono il commercio di animali «da terrario» (ci sono tanti appassionati che allevano anfibi per hobby e alimentano un fiorente business legato alla loro compravendita) e l’uso alimentare. Ad esempio, in molte regioni italiane la rana esculenta è considerata una prelibatezza.
Quali delle 36 specie di anfibi presenti in Italia sono in declino?
Le specie che hanno subito la più evidente contrazione dell’areale sono il Discoglosso dipinto (una rana presente, in Italia, esclusivamente in Sicilia), l’Ululone appenninico (un piccolo rospo con la pancia gialla, endemico dell’Italia peninsulare) e il Pelobate fosco (un rospo distribuito nella pianura padana, nella foto del titolo) che sembrano essere scomparsi da oltre il 30 % dell’area che occupavano alcuni decenni fa. In particolare l’ultimo, il Pelobate fosco, ha perso più della metà del suo areale e, almeno in parte, a causa del cambiamento climatico.
Nel vostro rapporto parlate di misure specifiche per salvaguardare le specie che sono a rischio a causa del cambiamento climatico. Potresti suggerirne alcuni?
La strategia che bisognerebbe adottare per permettere alle specie animali, non solo agli anfibi, di fronteggiare i cambiamenti climatici è quella di pianificare dei sistemi di aree protette specificatamente per facilitare gli spostamenti che gli animali compiranno – e stanno già compiendo – in risposta al clima che cambia. Infatti, la distribuzione degli animali è sempre cambiata in funzione delle variazioni ambientali, ma oggi la frammentazione cui le aree naturali sono sottoposte rallenta, o blocca completamente questi spostamenti, impedendo alle specie di assecondare i cambiamenti climatici. Questo, ovviamente, richiede delle analisi a monte per riuscire a prevedere quali saranno gli spostamenti che le diverse specie dovranno compiere nel prossimo futuro per poterli agevolare.
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(Le Foto sono di Matteo Di Nicola)