Esimio Professore, mi permetta di cominciare quest’intervista appagando una semplice curiosità: ha mai visitato il Parco delle Madonie? E, se sì, quali ricordi porta con sé?
Ho visitato più volte, fin dagli anni Settanta, queste montagne straordinarie, attratto dalla loro fama naturalistica e dallo scrigno di biodiversità di luoghi come Bosco della Ficuzza, Rocca Busambra, Castelbuono e Vallone Madonna degli Angeli … La prima volta negli anni Settanta preparando la Guida alla Natura d’Italia della storica serie Mondadori, poi alla scoperta dell’Abete dei Nebrodi, infine alla ricerca delle colossali Querce plurisecolari…
Goethe nel suo viaggio in Italia diceva che «…La Sicilia è la chiave di tutto…». Ma com’è noto si riferiva al patrimonio storico e culturale. Si potrebbe dire la stessa cosa anche del patrimonio ambientale, o la condizione insulare ne ha in qualche modo ridotto la varietà?
L’isola Trinacria non è stata soltanto una fucina culturale ricchissima, fin dai tempi della Magna Grecia: rappresenta anche un crocevia biogeografico unico nel Mediterraneo, perché racchiude un poco d’Europa, molto di Africa e qualcosa di Oriente… Peregrinando tra monti e litorali, e spingendomi fino alle più remote isole circumsiciliane, ho incontrato il Faggio e la Betulla discesi dal Nord, il Falco della Regina e la Retama giunti dal continente nero, il Platano orientale e la Zelkova venuti dalle terre transadriatiche. Senza dimenticare la Foca monaca, lo Squalo elefante e l’Uccello delle tempeste, giunti da mari vicini e lontani. Il prolungato isolamento dei popolamenti animali e vegetali della Sicilia può per certi versi apparire un limite, ma è stato anche la vera ragione di una evoluzione indipendente, quella che ha dato vita a tante forme autoctone, che non esistono in altre parti del mondo.
Leggendo le memorabili pagine lasciateci da Minà Palumbo si apprende che grandi mammiferi, in tempi non lontani, vivevano sui monti delle Madonie. Cos’è accaduto, perché in Sicilia, come del resto in buona parte d’Italia, in un periodo individuabile intorno alla seconda metà dell’Ottocento la violenza dell’uomo si è tanto accanita contro la natura?
La persecuzione e distruzione dei grandi Mammiferi (e anche di grandi uccelli come gli Avvoltoi: Gipeto o Avvoltoio degli agnelli, Monaco e Grifone) riflette una fase storica di eccessivo sfruttamento delle risorse naturali, distruzione degli habitat, devastazione forestale, caccia sfrenata e bracconaggio incontrollato, e non solo in Sicilia. Ma mentre altrove qualcosa ha potuto ricostituirsi per le ben note periodiche migrazioni animali, l’isolamento della Sicilia ha costruito barriere per certi versi invalicabili: sono lontani i tempi in cui Polibio poteva narrare di Cervi che attraversavano a nuoto lo Stretto di Messina. E certo la pressione dell’uomo sulla vita animale, prima che maturasse una sia pur embrionale «coscienza ecologica», è stata pesantissima.
Questi assalti alla fauna madonìta, sradicando di fatto quasi tutti gli animali di maggiori dimensioni (Cervo, Daino, Capriolo, Lupo, Grifone, Gufo reale) hanno prodotto profondi squilibri nel nostro ecosistema. È possibile pensare ad un ripristino della biodiversità che ricomponga l’antico equilibrio?
Molti di questi animali potranno essere reintrodotti con l’impegno culturale ed ecologico del Parco e con la convinta partecipazione delle Comunità locali, anzitutto il Cervo e il Capriolo. Con un po’ d’aiuto anche certi grossi Uccelli ritorneranno sulle alte falesie dove un tempo nidificavano. Per il Lupo appenninico, il problema è assai più complesso e merita approfondimento… Infine non va dimenticato che nelle Madonie, come in tutte le montagne della penisola, esisteva anche la Lince, nota storicamente come Lupo cirivéro (e chiamata nel resto dell’Appennino Lupo cerviero, Gattopardo o, più recentemente, Lince appenninica).
La reintroduzione negli anni Ottanta del Daino in alcune aree del Bosco di Ficuzza e delle alte Madonie non ha incontrato l’opposizione dell’uomo: è possibile dunque pensare che altrettanto accada nell’ipotesi di reintroduzione di altri ungulati come il Cervo o il Capriolo. Ma, volendo andare fino in fondo, come è possibile sfatare il mito del «lupo cattivo»?
È lungo e difficile, ma non certo impossibile. Quando, alla fine degli anni Sessanta, ebbi l’incoscienza di assumere la Direzione di un Parco d’Abruzzo aggredito dalla speculazione e ormai sull’orlo del precipizio, la voce popolare dominante continuava a reclamare lo sterminio totale di lupi, orsi e altri predatori, ritenuti inutili e dannosi. Oggi nessuno oserebbe dire qualcosa del genere, e neppure pensarlo. Fu grazie all’Operazione San Francesco lanciata all’inizio degli anni Settanta che il mitico Lupo appenninico ha potuto salvarsi, e che un paesino isolato tra i monti come Civitella Alfedena è diventato famoso in tutto il mondo, facendo risorgere la sua economia con la forma più evoluta di turismo. E cioè quell’ecoturismo, che oggi costituisce il più efficace richiamo verso la natura per l’uomo moderno, sempre più inurbato, e stordito da un progresso che spesso non rappresenta affatto l’evoluzione verso la vera civiltà. Per salvare la natura occorre amarla, e per proteggerla davvero è anzitutto necessario conoscerla: un animale come il Lupo non potrebbe facilmente essere osservato allo stato libero, ma se ambientato in un vasto Parco Faunistico seminaturale (quello che i Francesi chiamano «Parc de vision») costituisce una eccezionale attrattiva e un osservatorio ideale non solo per i visitatori giunti apposta da lontano, ma anche per gli abitanti locali. E fu proprio così che il Parco d’Abruzzo cancellò la falsa leggenda del «lupo cattivo», risollevò la propria immagine, rilanciò l’economia locale… e salvò dall’estinzione, con il Lupo appenninico, anche molti piccoli paesi di montagna.
Ogni anno, sul finire della primavera, una potente campagna mediatica ci informa sullo stato di salute del nostro mare e delle nostre spiagge. È dimostrato come le famose bandierine riescono spesso a condizionare la scelta della meta balneare da prediligere, premiando così le località più diligenti. Come mai non accade lo stesso per i Parchi e le aree protette in generale? E non sarebbe auspicabile una medesima attenzione sullo stato di salute ambientale da parte dei media almeno una volta all’anno?
Si tratta di iniziative certamente meritorie, che dovrebbero anzitutto essere ispirate alla massima obiettività e condotte con assoluta indipendenza. Ma in un Paese come il nostro, il rischio di inquinamento economico e di invasività politica resterebbe purtroppo molto forte, come molti casi concreti anche recenti hanno dimostrato eloquentemente. Personalmente, nutrirei maggior fiducia in un osservatorio internazionale, che riuscisse a coinvolgere naturalisti, studiosi, giornalisti e sociologi delle più varie estrazioni e che portasse all’assegnazione di riconoscimenti autorevoli come fu un tempo il prestigioso Diploma Europeo del Consiglio d’Europa, oggi finito ahimé nella trappola della virtualizzazione e della banalizzazione globale.
Grazie alla coraggiosa iniziativa di un gruppo di giovani imprenditori il Parco delle Madonie è oggi l’unica area protetta della Sicilia dotata di un «Parco Avventura». Ciò dimostra come attraverso la tutela ambientale si può rilanciare l’economia di un territorio.
Quali altre iniziative può suggerire ai giovani madoniti per rafforzare il binomio tutela ambientale-sviluppo economico?
Le prospettive sono così ampie, da poter nutrire un intero Seminario, con tanto di esempi concreti e pubblicazioni divulgative da studiare e approfondire. Ma in questa sede basterà citarne qualcuna… Creare in ogni villaggio un Centro tematico legato alla realtà e alla vita del Parco. Costituire nelle sue adiacenze un’Area faunistica o un Giardino botanico che faccia scoprire e osservare da vicino la natura, soprattutto ai giovani. Richiamare volontari di ogni età da tutto il mondo, per realizzare una «grande opera ecologica», come ad esempio il rimboschimento di una montagna. Incoraggiare i Comuni a diventare, con sana emulazione, centri di eccellenza per accoglienza turistica, risparmio energetico, riciclaggio dei rifiuti… E prendere in considerazione, oltre alla natura, anche la musica e lo sport, vere forze benefiche aggregatrici dei giovani, al riparo dai terribili rischi oggi incombenti. Ma l’elenco potrebbe continuare ancora…
Di recente il Commissario straordinario del Parco delle Madonie, Angelo Aliquò, con il motto «il bosco va vissuto» ha lanciato un appello teso ad eliminare le recinzioni intorno alle aree boschive che si trovano all’interno del Parco. Condivide l’iniziativa?
Certamente questo appello, che richiama il principio del «libero accesso alla foresta» fin dai tempi antichi dominante in Scandinavia, non può che essere condiviso, perché costituisce anche una delle forme più efficaci di educazione ambientale. Come diceva San Bernardo di Chiaravalle, «imparerai più dai boschi che dai libri». Ma ovviamente, ciò presuppone almeno un buon livello di rispetto verso la natura, per non degenerare nei ben noti fenomeni di danneggiamento o disturbo gratuito a piante e animali. E non va dimenticato che una parte del bosco (quella che più corrisponde alla foresta vetusta e all’antica selva) va lasciata a sé, come riserva integrale ad assoluta protezione.
Il suo nome è indissolubilmente legato al Parco d’Abruzzo, che ha rappresentato non solo la salvezza, ma anche la vera e propria fortuna di un intero territorio. Qual è la ricetta per fare di ogni area protetta italiana quel propulsore di economia e benessere che è stato il Parco d’Abruzzo nel suo «periodo d’oro»?
Non esiste una formula segreta unica, ma valgono gli stessi principi che hanno sempre assicurato il successo di ogni «impresa impossibile». Senso della «missione» e spirito di innovazione, determinazione e coraggio, onestà e capacità manageriale, approccio intersettoriale e rispetto della diversità e della memoria storica, apertura internazionale e fede nel futuro… Anche se ciò potrà esporre a forti rischi e contrasti chiunque, in ogni luogo e tempo, voglia creare un vero Parco, dove l’uomo possa vivere in armonia con la natura. Si tratta di una battaglia civile e disinteressata che, senza violenza né armi, val davvero la pena di combattere, anche per i nostri figli.