Un documentario sul massacro dei cetacei nella baia di Taiji, in Giappone dove, da aprile a settembre, i pescatori sospingono i delfini per poi massacrarli o tenerli in vita e rivenderli a cifre da capogiro al mercato dei parchi acquatici e degli acquari. Un traffico da 2 miliardi di dollari l’anno, che coinvolge anche la mafia giapponese
Domani sarà presentato al Festival del cinema di Roma «The Cove», eco-film sull’agghiacciante mattanza dei cetacei nella baia di Taiji, in Giappone. La proiezione si terrà alle 15.30 presso l’Auditorium Parco della musica, sala Sinopoli.
Quante volte, in visita ad acquari o parchi acquatici, ci siamo divertiti ad osservare stupiti le acrobazie dei delfini? Certamente, dopo aver visto «The Cove», il nostro sorriso sulle labbra e quella spensieratezza spariranno.
Agghiacciante, avvincente ed emozionante, il film mostra senza mezzi termini la strage dei cetacei nella tranquilla e placida baia di Tajin, in Giappone.
Qui, da aprile a settembre, i pescatori nipponici sospingono i delfini per poi massacrarli o tenerli in vita e rivenderli a cifre da capogiro al mercato dei parchi acquatici e degli acquari.
Non si tratta chiaramente di attività di pesca di sussistenza, ma il governo di Tokyo tace o finge di non vedere, lasciando che questo giro d’affari proliferi.
Un traffico da 2 miliardi di dollari l’anno, che coinvolge anche la Yazuka, la mafia giapponese e che, condannando a morte migliaia di delfini, incide inevitabilmente sugli equilibri marini.
L’idea è nata dall’esperienza di Ric O’Barry, ex addestratore di delfini che, dopo aver visto morire tra le sue braccia uno dei suoi cetacei, ha deciso che doveva fermare in qualche modo questo scempio. Dopo aver incontrato il regista Louie Psihoyos, uno dei più grandi fotografi al mondo, ha messo in piedi un team d’assalto composto da cameramen subacquei, biologi marini, apneisti definiti «Ocean’s eleven».
Nella baia circondata da alte colline è assolutamente vietato accedere, ma con appostamenti notturni, telecamere nascoste, elicotteri telecomandati e software ad altissima tecnologia, la produzione è riuscita a rubare le immagini della cattura dei delfini e documentarne i raccapriccianti metodi di uccisione.
Immagini forti, impietose, crudeli che hanno spopolato in tutto il mondo, in America soprattutto, e che sono riuscite a convincere il governo giapponese a bloccare un programma per fare entrare nel menù delle mense scolastiche la carne di delfino.
Un film di rivelazione, prodotto dalla Oceanic preservation society e sostenuto dalla Wdcs (Whale and dolphin conservation society), che ha già vinto il premio del pubblico all’ultimo Sundance festival e che, di sicuro, non lascerà indifferente il pubblico del Festival del cinema di Roma.