Che succede agli alberi delle città?

651
Tempo di lettura: 3 minuti

Un po’ ovunque scempi e abbattimenti ingiustificati non si contano. Interi viali storici «denudati», interventi di taglio ingiustificati e sbagliati

Mai come negli ultimi tempi l’albero appare un bene prezioso, mai come oggi una vera e propria «guerra agli alberi» sembra accanitamente scatenarsi. Scempi e abbattimenti ingiustificati non si contano, la questione è esplosa anche sulle pagine dei quotidiani, il dilemma è semplice. In città, meglio tagliare alberi, o salvarli? Nei giardini, far prevalere verde o pietra e asfalto? In campagna, costruire case, strade e cementificare, oppure far rifiorire ambiente naturale e paesaggio tradizionale? Sembrano gli interrogativi di un folle, ma basta guardarsi intorno per capire che il partito antiecologico sta via via prevalendo: e che la nostra «civiltà superiore» sta progressivamente «mineralizzando» (come direbbero gli ambientalisti canadesi) il verde e la vita. Oggi, proprio accanto a noi, si sta combattendo una lotta sorda, da cui potrebbe dipendere il futuro delle metropoli.

Chi non si è accorto ad esempio che molti bellissimi viali cittadini, cari alla memoria e meta di passeggiate, stanno scomparendo di colpo? Che si tratti di pini o platani, olmi o sofore, il copione non cambia. Accade persino al centro di Roma, a Piazza Venezia. Un bel mattino ci si sveglia, e gli alberi secolari non ci sono più. Al loro posto, un triste cimitero di ceppi, e addio all’ombra e alla frescura, all’ossigeno e ai canti degli uccelli. Per non dire delle potature, effettuate in piena estate, e dei pretesti grotteschi del tipo «erano tutti malati!». Il progresso che avanza? Motivi di sicurezza? Non vi è ragione che possa giustificare barbarie del genere, e nessuno si sognerebbe di abbattere un monumento storico o un tempio malfermo: se ne garantirebbe invece cura e manutenzione, che per i nostri viali invece sembrano essersi dissolte. E chi ha minacciato la stabilità degli alberi, se non coloro che ne hanno tagliato le radici, li hanno soffocati nel cemento, e non sanno neppure cosa significhi una «potatura intelligente»? Infine, dove va a finire tutto il legname? Perché mai questi «blitz» avvengono con straordinaria rapidità proprio nottetempo? Strano che, in un paese tanto attento ai minimi scandaletti, nessuno sospetti che a volte dietro ai tagli selvaggi possa nascondersi qualche giro d’affari non proprio trasparente…

Ma per fortuna, la gente ha incominciato a svegliarsi e a protestare, e come diceva un grande editorialista mio amico «dopo una decina di lettere al direttore, anche i giornali più distratti si accorgono che qualcosa sta accadendo di fronte a loro…». E c’è persino chi, contro la distruzione del verde, ha aperto una pacifica guerriglia contro il degrado urbano: ricreando aiuole fiorite negli angoli abbandonati, piantando alberi nelle parti più desolate della città. Sono i giovani del movimento guerrilla-gardening, un volontariato pacifico ma deciso, mai sconfinante nella violenza, nato come sempre avviene nel Nord America e nel Nord Europa, ma oggi attivo anche in varie parti d’Italia. Potrebbe sembrare uno scherzo, è invece una cosa seria. Chi non preferirebbe scoprire i giovani impegnati di giorno, nel tempo libero, a competere tra loro per chi realizza lo spazio verde migliore, anziché trovare edifici, mura, autobus e vagoni imbrattati di notte da «writer» clandestini in nome di una pretesa creatività artistica?

La nuova cultura verde urbana si sta lentamente diffondendo, e andrebbe fortemente incoraggiata. Perché è possibile avere cortili, balconi, terrazze e finestre fioriti, e c’è persino chi accanto alla casa, magari spinto dal bisogno, ha creato un proprio piccolo orto autarchico. Ed è bello vedere all’estero, nei parchi pubblici, gruppi di nonni felici che insegnano ai bambini a curare il verde, assicurandone così una regolare, gratuita manutenzione (ma perché qualcosa di simile non avviene ancora da noi?).

Ma soprattutto, nella cultura urbanistica più avanzata sta affermandosi la tendenza a creare edifici verdi, bioclimatici, con tetti e terrazze trasformati in veri giardini. A lanciare la moda fu negli anni Ottanta il geniale architetto austriaco Friedensreich Hundertwasser, creando i primi edifici ricchi di forme nuove, colori allegri e verde dappertutto. A lui la città di Vienna ha dedicato uno speciale quartiere, dove la sua originale Haus (casa) riceve ogni giorno centinaia di visite. E ora sono davvero molti i Paesi dove stili e tecniche analoghe si stanno affermando, dalla Germania all’Australia, dal Canada alla Svezia, dall’Austria alla Francia… Ci sono mille buone ragioni per piantare e difendere gli alberi, come afferma nel suo bel libro «Abbracciare gli alberi» Giuseppe Barbera dell’Università di Palermo. Ombra e frescura, clima e ossigeno, distensione e biodiversità…

Una città ecologica sembra un sogno, ma potrebbe davvero essere a poco a poco realizzata con il contributo di tutti noi, se solo lo volessimo. Basterebbe riscoprire verità dimenticate, ritrovando lo splendore della vita intorno a noi. Del resto una delle meraviglie del mondo non era l’architettura di Babilonia, con le sue grandi terrazze trasformate in giardini pensili?

(Nella foto del titolo il più famoso esempio di edificio urbano verde, la Hundertwasser Haus di Vienna, oggi tutelato come un vero monumento storico vivo e dinamico. Foto Archivio Centro Parchi)