L’Italia «affossa» le rinnovabili

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Nella finanziaria 2010 si è discusso di tagli, invece di spingere per un potenziamento. Dieci associazioni di categoria e ambientaliste chiedono il ritiro di questo provvedimento in controtendenza con gli obiettivi nazionali al 2020

In un emendamento proposto in questi giorni per la finanziaria 2010 si parla di dimezzare, al di fuori di ogni analisi economica, il valore dei Certificati verdi (Cv) e limitare gli impianti dove la rete non è in grado di accoglierli, invece di spingere per il suo potenziamento. Dieci associazioni di categoria e ambientaliste chiedono il ritiro di questo possibile provvedimento in controtendenza con gli obiettivi nazionali al 2020.

Il Governo che intenzioni ha per lo sviluppo futuro delle rinnovabili?

Da alcuni emendamenti di fonte governativa che circolano in questi giorni per la Finanziaria 2010, che dovrebbero essere presentati alla Camera, non sembra che tiri un’aria positiva. I due emendamenti (pdf) che verranno proposti hanno i seguenti contenuti:

1. far cessare gli effetti del provvedimento Cip n. 6/92 (il vecchio meccanismo che incentivava rinnovabili ed assimilate per molti impianti ancora in vigore) al fine di ripristinare il dettato normativo della Direttiva europea n. 28 del 2009;

2. indicare nuove disposizioni in materia di Certificati verdi e di sviluppo della rete di trasmissioni dell’energia elettrica ai fini della produzione delle energie rinnovabili.

Anche se nel primo emendamento si possono intravedere dei parziali segnali positivi per una chiusura anticipata dell’incentivo CIP6 per alcune tipologie di impianti (n particolare assimilate, ad esclusione però degli inceneritori), il secondo emendamento sembra invece voler affossare gli impianti a fonti rinnovabili incentivati con il meccanismo dei Certificati verdi. Nel complesso sembra un attacco allo sviluppo delle fonti rinnovabili.

Gli aspetti più delicati

Vediamo allora gli aspetti più delicati soprattutto del secondo emendamento tanto da indurre le preoccupate associazioni di categoria e ambientaliste Anev, Aper, Assosolare, Federpen, Fiper, Greenpeace, Ises Italia, Itabia, Kyoto Club e Legambiente ad emettere un comunicato (pdf) che ne chiede il ritiro.

Come si sa la Finanziaria 2008 per determinare il prezzo del Certificato verde (Cv) ha fissato il valore di riferimento in 180 euro per MWh: la differenza tra questo e il valore medio annuo del prezzo di cessione dell’energia elettrica definito dall’Autorità, registrato nell’anno precedente, e comunicato entro il 31 gennaio di ogni anno, definisce il prezzo del Cv (quest’anno pari a 91,34 euro). Pertanto nel 2009 il prezzo del Cv è stato pari, al netto di Iva, a 88,66 euro/MWh (cioè: 180 – 91,34 = 88,66 euro/MWh), quindi 8,866 cent?/kWh.

In definitiva questo è il prezzo al quale il Gse (Gestore dei servizi elettrici) offre i propri Cv ed è il riferimento per questo mercato.

Lo stessa norma in Finanziaria 2008 chiariva che il prezzo di riferimento, come i coefficienti per le diverse fonti (tabella 2), può essere aggiornato ogni tre anni dal ministero dello Sviluppo Economico.

Quello che richiede l’emendamento

Ora, quello che l’emendamento richiede è la variazione, e con un anno di anticipo a partire dal 2010, del «valore di riferimento» che verrebbe abbassato a 120 euro/MWh, rischiando così di portare il prezzo futuro del Cv a livelli inferiori a 40 euro/MWh. Un prezzo dei Cv che diventerebbe assolutamente insostenibile per tutti gli impianti rinnovabili che hanno in corso incentivazioni con il meccanismo dei Cv. Un provvedimento che non si basa su nessuna analisi economica puntuale e risulta incoerente con l’andamento dei costi di mercato delle tecnologie. Un provvedimento che causerebbe una grave crisi per chi investe nel settore, sottoposto inoltre «ad un ennesimo mutamento delle regole del gioco in corsa», come hanno chiarito con preoccupazione le associazioni nel loro comunicato.

Altra parte dell’emendamento è quella che propone di ridurre i coefficienti della tabella 2 del 10% (del 20% dal 2011) per i produttori di rinnovabili non programmabili che non prevedano un sistema di accumulo dell’energia nelle zone indicate dal gestore di rete Terna, per una quota di almeno il 10% della producibilità media giornaliera. Un provvedimento, questo, assolutamente incomprensibile.

Alcuni pensano che si voglia nascondere una sorta di teledistacco dell’impianto di produzione di energia rinnovabile, quando invece la Direttiva europea 77/2001 ci dice che deve esserci «priorità di dispacciamento» delle energie pulite.

Altri successivi comma dell’emendamento fanno sempre riferimento al ruolo di Terna, alle reti e alla loro relazione con le fonti rinnovabili. Il gestore di rete nazionale in un rapporto dovrebbe indicare per ogni Regione la massima quantità di produzione di energia elettrica da «rinnovabili non programmabili» che può essere connessa ed erogata nel rispetto della sicurezza di funzionamento del sistema elettrico nazionale. Il Governo farebbe bene invece ad aiutare Terna a realizzare i necessari è già previsti piani di potenziamento delle reti, adeguandoli allo sviluppo delle fonti rinnovabili.

Seguendo l’emendamento proposto, si attribuirebbe a Terna un potere insindacabile che potrebbe deprimere ulteriormente la diffusione degli impianti a fonti rinnovabili. Molti riconoscono che senza seri investimenti nelle reti, le rinnovabili elettriche non potranno mai raggiungere quel 33% sulla domanda che è l’obiettivo per il 2020. Non basta allora dire «no» per risolvere il problema.

Negli altri paesi europei invece su questo aspetto ci si sta muovendo con determinazione, con la ricerca, le sperimentazioni sul campo e impiego di risorse pubbliche.

Qual è lo scopo di questo emendamento?

Sembra chiaro che si voglia innanzi tutto alleggerire la componente A3 nella tariffa elettrica, forse per favorire altre spese estranee alle rinnovabili e/o ridurre il prezzo dell’energia elettrica. O più semplicemente si sta preparando il terreno agli ingenti costi statali necessari per la rinascita del nucleare?

In entrambi gli emendamenti si considera, infatti, la creazione da parte del ministero dello Sviluppo Economico di uno specifico fondo dove dovranno confluire i risparmi che scaturiranno da questi provvedimenti per gli anni 2010 e 2011. Tali risorse (che in effetti non ci saranno, visto che si parla di entrate mancate) sarebbero da destinarsi a ricerca e sperimentazione nel settore dell’energia.

Dal 2012 andrebbero invece a contribuire ad una riduzione del prezzo dell’energia elettrica per i consumatori finali. Se ci fosse un vero interesse nel settore delle rinnovabili potrebbero essere veicolati invece proprio per l’adeguamento delle reti (smart grids) o per la ricerca nel comparto delle fonti pulite di energia.

Un attacco così duro sarebbe assolutamente in controtendenza con gli ambiziosi obiettivi (vincolanti) europei al 2020 che richiederebbe invece un indirizzo chiaro di tutta la politica nazionale e la stessa normativa per riuscire a coprire il 17% dei consumi finali di energia con le rinnovabili, quando oggi siamo solo intorno al 6%.

Per questo motivo le associazioni invitano il Governo a ritirare soprattutto questo emendamento e, si afferma nel comunicato, «a mantenere un atteggiamento di coerenza in materia di strategia delle politiche energetiche nazionali con quanto più volte dichiarato da mesi nelle varie sedi istituzionali, sostenendo con continuità e concretezza lo sviluppo dell’efficienza energetica e la promozione delle fonti rinnovabili al fine di contribuire al riequilibrio del mix energetico nazionale, che deve migrare verso un’economia a bassa intensità di carbonio».

Questo ed altri segnali non ci danno fiducia sulla volontà del nostro governo di spingere con impegno il settore delle rinnovabili.

(Fonte Qualenergia)