Perché la Cina vuole due trattati

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La posizione è stata enunciata nella sessione plenaria del 7 dicembre 2009

L’accordo che si dovrà raggiungere a Copenhagen il 18 dicembre prossimo deve essere completo, omnicomprensivo, ma soprattutto basato su due trattati legalmente vincolanti e non su uno solo come vorrebbero la Ue e gli altri Paesi industrializzati. I due trattati sono: quello elaborato dal gruppo Agw-Lca sulla base della «Road map di Bali» e quello elaborato dal gruppo Agw-Kp sulla base del protocollo di Kyoto attuale, emendato per i nuovi impegni al 2020 dei Paesi industrializzati.

Il gruppo Agw-Kp lavora fin dal 2005, a seguito degli accordi di Montreal, con il compito di completare il proprio lavoro nel 2009 per consentire nel 2013, tenendo conto dei tempi procedurali, il proseguimento del protocollo di Kyoto senza soluzione di continuità.

Il gruppo Agw-Lca, invece, lavora dal 2007, a seguito degli accordi di Bali, che prevedevano la predisposizione di un trattato di cooperazione mondiale, basato su quattro pilastri (mitigazione, adattamento, strumenti finanziari e strumenti tecnologici) per il raggiungimento dell’obiettivo ultimo, riportato nell’art.2, della Convenzione Quadro sui cambiamenti Climatici (Unfccc).

La Cina contesta il fatto che i Paesi industrializzati insistano nel dire che il protocollo di Kyoto scade nel 2012 e, pertanto, in tale data si estingue. Nel 2012 non si estingue affatto il protocollo, ma scadono soltanto gli impegni di prima fase fissati al 2012 per la riduzione delle emissioni dei Paesi industrializzati.

L’art. 3.9 del Protocollo di Kyoto prevede espressamente che il protocollo di Kyoto venga emendato per introdurre gli ulteriori impegni di seconda fase (al 2020) che i Paesi industrializzati (inclusi gli Usa, che non hanno ancora ratificato il protocollo di Kyoto) dovranno assumersi. Una volta approvate i necessari aggiornamenti, il protocollo di Kyoto così emendato diventa automaticamente vincolante anche dal punto di vista legale, cosa che, invece, non accade per l’altro trattato, quello costruito sulla «Road map di Bali» per il quale serve un’apposita decisione e relative ratifiche, per poterlo rendere legalmente vincolante.

Su questo problema, dice la Cina, si sta producendo disinformazione e molta confusione. Il nuovo trattato che sarà negoziato a Copenhagen non può, quindi, essere soltanto quello costruito sulla «Road map di Bali», come vorrebbero i Paesi industrializzati, ma è anche il protocollo di Kyoto con gli opportuni emendamenti per gli obiettivi da raggiungere al 2020. E l’accordo che dovrà scaturire da Copenhagen deve essere basato su questi due trattati che sono ugualmente importanti, ma che devono rimanere distinti, altrimenti si violerebbero le regole in vigore e gli accordi finora stabiliti.

Basare l’accordo di Copenhagen su un solo trattato, o anche su un rimescolamento dei due trattati per ottenerne uno solo, significa cancellare il protocollo di Kyoto ed il protocollo di Kyoto non si può cancellare se non dopo un negoziato convocato «ad hoc», e quindi diverso da questo, per decidere della sua eliminazione. L’unica azione costruttiva che si può fare in questo negoziato è quello di convincere gli Usa a ratificare il protocollo di Kyoto (ora per allora e, quindi anche per il futuro), visto che è l’unico paese industrializzato a non averlo ratificato.