Dopo una breve introduzione della Presidente (il Ministro dell’Ambiente danese: la signora Hadegaard) che, tra l’altro ha annunciato ufficialmente la sede della prossima Conferenza (la Cop-16) si terrà a Città del Messico nel dicembre 2010, è stata data preliminarmente la parola a Cina e Malta, prima di iniziare la discussione.
La Cina ha subito protestato formalmente perché al proprio ministro era stato negato l’accesso al Bella Center (sede della Cop-15) e confiscato il suo badge. Il Segretario Generale Yvo de Boer ha chiesto scusa per l’errore, determinato involontariamente dal personale di sicurezza per la grande calca agli accessi, assicurando che non sarebbe più successo.
Subito dopo Malta, che è membro della Aosis (come Stato delle piccole isole), ha annunciato la sua proposta, date le sue condizioni di sviluppo economico, di entrare a far parte dei Paesi industrializzati (Annesso I), abbandonando la sua appartenenza alla Aosis. La proposta è stata accolta e sarà ora formalizzata.
La discussione è quindi iniziata sulla discussione di cinque proposte presentate rispettivamente da: Tuvalu, Costa Rica, Australia, Giappone ed Usa.
L’arcipelago delle Tuvalu ha illustrato la sua proposta presentata il 12 giugno 2009 nella sessione negoziale di Bonn, nella quale si prevede di redigere un protocollo aggiuntivo e complementare al protocollo di Kyoto attuale (nella sua forma già emendata), che specifichi il quadro di riferimento entro cui il nuovo protocollo di Kyoto emendato dovrà muoversi non solo fino al 2020, ma fino al 2050 e le finalità per le quali deve attuarsi.
Questo quadro di riferimento segue la «Road map di Bali» e fissa, in particolare, gli obiettivi generali più severi e più adatti per prevenire le conseguenze dei cambiamenti climatici sulle piccole isole oceaniche dal momento che il protocollo di Kyoto attuale non dice nulla in proposito ed è soggetto ad arbitrarie interpretazioni.
In particolare Tuvalu propone di fissare come obiettivo di riferimento per il protocollo di Kyoto complementare quello di mantenere il surriscaldamento climatico globale al di sotto di 1,5 °C e di conseguenza di fissare la stabilizzazione delle concentrazioni atmosferiche dell’anidride carbonica e degli altri gas serra al valore massimo di 350 ppm (nota: attualmente siamo a 385 ppm in termini di anidride carbonica e ad oltre 400 in termini di gas serra complessivi). Di conseguenza il nuovo trattato del gruppo Agw-Lca confluisce interamente in questo nuovo protocollo complementare.
In altre parole, Tuvalu propone che l’accordo di Copenhagen che dovrà essere conseguito il 18 dicembre prossimo, dovrà essere fondato su due protocolli legalmente vincolanti: uno riguardante l’attuale protocollo di Kyoto emendato, già redatto dal Agw-Lca e l’altro riguardante il protocollo «aggiuntivo» e «complementare», che Tuvalu propone, nel quale confluisce interamente il trattato redatto dall’Awg-Lca basato sulla «Road map di Bali».
Il risultato finale da conseguire sarà quindi un protocollo complessivo denominato «protocollo di Copenhagen» costituito in realtà da due protocolli: uno principale e di base, cioè il protocollo di Kyoto con i suoi emendamenti al 2020, ed uno secondario e complementare al protocollo di Kyoto, che ne fornisce il quadro di riferimento per l’attuazione sul lungo periodo (fino al 2050). In questo modo, è anche possibile procedere, senza rinegoziare nuovi trattati, agli aggiornamenti successivi del Protocollo di Kyoto a scadenze regolari (la prima scadenza è al 2020, ma quelle successive potrebbero essere, per esempio, su base decennale: al 2030, al 2040 ed al 2050).
In pratica, Tuvalu propone di ribaltare completamente la proposta dell’Unione europea, che è quella di far confluire il protocollo di Kyoto emendato (ritenuto secondario) nel trattato costruito sulla «Road map di Bali» (ritenuto principale). La proposta dell’Unione europea, secondo Tuvalu, cancellerebbe il protocollo di Kyoto e gli obblighi vincolanti in esso contenuti. Inoltre, il trattato (principale) costruito sulla «Road map di Bali» auspica tutto, ma non obbliga nessuno a fare qualcosa. Per renderlo legalmente ed effettivamente vincolante occorre fare molto altro lavoro aggiuntivo sia nel merito sia nella forma, con problemi e tempi talmente lunghi da far andare sott’acqua tutte le isole oceaniche e, comunque, tali da assistere ai peggiori cambiamenti del clima con danni ingenti a tutti i paesi più poveri della fascia tropicale.
Il Costa Rica è intervenuto ed ha descritto la sua proposta che è molto simile a quella di Tuvalu, chiedendo, però, che l’accordo di Copenhagen basato su due protocolli come prevede anche la sua proposta sia legalmente vincolante già a partire da questa sessione di Copenhagen.
Il Giappone, poi, ha illustrato la propria proposta che consiste in tre punti: nel definire nell’attuale bozza Agw-Lca un taglio delle emissioni globali del 50% al 2050, ma con riferimento ai livelli attuali (2005 o anno successivo), nello specificare gli impegni specifici ai fini della riduzione delle emissioni che devono assumersi i Paesi in via di sviluppo ed infine nell’individuare con certezza strumenti e risorse finanziarie e tecnologiche, comprese le modalità di cooperazione internazionale.
L’Australia e gli Usa hanno, poi, illustrato le loro proposte per un trattato unico, omnicomprensivo e legalmente vincolante per tutti (quello costruito sulla «Road map di Bali», che superi l’attuale protocollo di Kyoto.
India, Cina, Sud Africa ed Arabia Saudita si sono opposti all’idea di due protocolli (uno principale ed uno aggiuntivo) così come proposto da Tuvalu. Ma si oppongono anche alla proposta degli Usa e dell’Australia. Va bene quello che è stato finora fatto: protocollo di Kyoto emendato e trattato basato sulla «Road map di Bali», purché rimangano distinti. Quello che, invece, manca sono sia gli obiettivi ambiziosi che devono assumersi i Paesi industrializzati in questi due trattati, ed in particolare quelli di riduzione delle emissioni al 2020 e al 2050, e quelli riguardanti le risorse finanziarie e tecnologiche che i paesi industrializzati devono mettere a disposizione «con continuità» a favore dei Paesi in via di sviluppo.
Interventi successivi da parte anche di organizzazioni non governative non hanno aiutato a comporre le diverse proposte, ma, anzi, hanno provocato l’effetto di radicalizzare le posizioni che ora appaiono tre:
– quella di Tuvalu, Aosis e Lcd (stati più poveri) per due protocolli: uno fondamentale ed uno aggiuntivo,
– quella della Cina e dei paesi cosiddetti Basic e G-77, per due trattati distinti: un trattato di base fondato sulla «Road map di Bali» ed un protocollo di Kyoto emendato (per il breve periodo),
– quello dell’Unione europea e della maggior parte dei Paesi industrializzati per un trattato unico, quello costruito sulla «Road map di Bali», nel quale confluisce parte o tutto il protocollo di Kyoto emendato.
Stante queste posizioni inconciliabili il presidente Hadegaard ha proposto di istituire un «contact group» con il compito di contattare tutti i proponenti e gli oppositori per trovare forme di mediazione e compromessi accettabili per una soluzione condivisa.
L’Arabia Saudita, appoggiata da India, Cina, Venezuela ed altri si sono fortemente opposti alla proposta della Presidenza per la creazione di questo «contact group». Anzi, hanno esplicitamente chiesto alla Presidente di assumersi le sue responsabilità e di procedere di persona a svolgere il lavoro del «contact group»
La Presidente danese ha allora detto che, in assenza di consenso per la formazione del «contact group», quello che avrebbe potuto fare sarebbero stati solo colloqui informali, senza alcun valore né negoziale, né cogente. In ogni caso avrebbe dovuto consultarsi con il Segretariato Generale e con gli altri organi istituzionali della Unfccc su come procedere sia nel merito, sia nella forma per gli aspetti regolamentari e legali.
Pertanto, la sessione è stata sospesa per consultazioni del Presidente. La sessione plenaria è stata, quindi, aggiornata a giovedì 11 dicembre.