Arrestati 45 attivisti di Greenpeace

415
Tempo di lettura: 2 minuti

Sono stati portati via dalla polizia 45 attivisti di Greenpeace che manifestavano lungo il percorso che portava le auto dei diplomatici al bella Center dove si sta tenendo la conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico.

Gli attivisti erano divisi in cinque gruppi e ciascuno esponeva uno striscione con scritto «Politicians talk, leaders act». Gli attivisti arrestati provengono da 10 paesi, ma fra loro non ci sono italiani.

Uno dei climber, Gaurau Jagadish di Greenpeace India, ha detto prima di essere arrestato: «Gli uomini e le donne che passavano sotto di noi nella loro limousine hanno tutti il nostro futuro nelle loro mani. I paesi ricchi hanno portato sull’orlo del collasso le trattative sul clima, rifiutando di impegnarsi con profondi tagli delle emissioni e decidendo di non mettere abbastanza soldi sul tavolo per finanziare i paesi più poveri per il rispetto dell’ambiente e per far fronte ai cambiamenti climatici. Hanno visto il nostro messaggio, ora bisogna agire».

«Per la prima volta gli Stati Uniti hanno parlato pubblicamente del supporto finanziario per misure di adattamento e mitigazione ai cambiamenti climatici nei Paesi in via di sviluppo. Avendo citato la cifra di 100 miliardi di dollari all’anno, il Segretario di Stato americano Hillary Clinton ha mostrato che la posizione americana è migliorabile (letteralmente: può essere mossa)», afferma da Copenhagen Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace.

«Tuttavia la Clinton non ci ha spiegato quanto l’America è disposta a mettere sul tavolo per contribuire al fondo complessivo. Senza spiegare i dettagli su come e da dove verrebbero raccolte le risorse finanziarie, l’ipotesi che questo possa nascondere scappatoie è ancora aperta».

«Non dobbiamo permettere che l’annuncio odierno tinga di verde l’immobilismo americano a un passo dalla chiusura del vertice – continua Giannì – Greenpeace è amareggiata che la Clinton non abbia annunciato alcun miglioramento dell’impegno americano a ridurre i gas serra al 2020. Gli Stati Uniti continuano inoltre a mettere la testa sotto la sabbia quando si parla di accordo “legalmente vincolante”, preferendo un mero accordo operativo».

L’inadeguato impegno a tagliare le proprie emissioni di appena il 4% entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990, e la resistenza a sostenere un risultato legalmente vincolante a Copenhagen, rimangono ancora gravi impedimenti a un accordo storico e di successo per salvare il Pianeta da cambiamenti climatici catastrofici. «Domani il Presidente Obama dovrà mostrare di avere il coraggio e la leadership per sciogliere entrambi i nodi», conclude Giannì.

(Fonte Greenpeace)