L’inquinamento atmosferico generato dall’industria è troppo spesso inconsciamente ritenuto meno doloso di quello generato dal traffico privato
Ed è Mal’Aria Industriale 2010, libro bianco sull’inquinamento atmosferico da attività produttive presentato da Legambiente, che denuncia l’aumento degli inquinanti atmosferici in Italia. I numeri registrati sono preoccupanti; tra il 2006 e il 2007, infatti, risultano incrementati del +15% gli Ipa (Idrocarburi policiclici aromatici), del +6% le diossine e i furani, del +5% il cadmio e del +3% il cromo. Ed in questo trend positivo, l’industria italiana si pone come la principale fonte di microinquinanti scaricati in atmosfera, generando il 60% del cadmio totale, il 70% delle diossine, il 74% del mercurio, l’83% del piombo, l’86% dei Policlorobifenili (Pcb), l’89% del cromo e il 98% dell’arsenico; in questa lista fanno eccezione soltanto il benzene (le emissioni industriali contribuiscono «solo» per il 15% rispetto al totale), gli Ipa (34%) e il nichel (35%).
Questi inquinanti concorrono a rendere l’aria irrespirabile nei luoghi di lavoro e nei centri urbani limitrofi alle aree industriali. Quello che vuole mettere in risalto Mal’Aria Industriale 2010, è la poca attenzione nei confronti dell’inquinamento atmosferico generato dall’industria, spesso inconsciamente ritenuto meno doloso di quello generato dal traffico privato. Questo modo di affrontare il tema dell’inquinamento atmosferico, è certo poco attento alla vera natura del problema e alla sua successiva, possibile soluzione. E pensare che l’industria contribuisce in modo sostanziale alla Mal’Aria del Paese, con il 26% di PM10 emesso a livello nazionale,un livello di emissioni superiore a quello prodotto dal trasporto stradale.
Inoltre, non sono solo le polveri sottili a creare le maggiori problematiche ma anche altre sostanze scaricate comegli ossidi di zolfo (SOx), ormai quasi del tutto assenti nel settore dei trasporti grazie alle specifiche sempre più limitanti sulle concentrazioni di zolfo nei carburanti, e gli ossidi di azoto (NOx).Le possibili soluzioni al problema sono state già istituite per legge (D.L. 59/2005 di recepimento della direttiva europea Ippc (Integrated Pollution Prevention and Control); le attività industriali hanno, in altre parole, già un forte strumento di controllo che è costituito dall’Autorizzazione Integrata Ambientale (Aia).
Ma perché allora queste problematiche si vanno aggravando?
La risposta è da ricercare nel rilascio dei pareri da parte della Commissione Aia nazionale e nell’emanazione dei decreti di autorizzazione da parte del ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, iter questi che procedono con enorme lentezza. E a poco è servita anche la scadenza del 30 ottobre 2007, prevista dalla direttiva europea per il rilascio delle nuove autorizzazioni a tutti gli impianti industriali con conseguente obbligatorio adeguamento degli stessi alla normativa europea.
Dalle analisi svolte, elaborate da Legambiente e presentate nel libro, su 191 impianti industriali solo per 41 è stata rilasciata l’Aia, mentre per 143 il procedimento non si è concluso e per 7 è in corso sia la Via che l’Aia.
Inoltre, tra i 41 impianti che hanno ottenuto l’Aia, compaiono molte centrali termoelettriche e pochi impianti «complessi» (4 impianti chimici e 3 raffinerie di petrolio). A differenza invece dei 143 impianti ancora sprovvisti di Aia dove compaiono, a destare maggiore preoccupazione, 85 centrali termiche, 39 impianti chimici come gli impianti nel sito industriale di Priolo e il polo di Mantova, le 17 raffinerie tra cui quelle di Gela, Milazzo, Priolo, Falconara e le 2 grandi acciaierie dell’Ilva a Taranto e della Lucchini a Piombino. Una situazione complessa e poco confortante, visti i numeri degli impianti sprovvisti di Aia e la consapevolezza dell’esistenza di innumerevoli autorizzazioni regionali e provinciali che vengono concesse a impianti di più piccola rilevanza.
Dall’analisi attenta di questa situazione, Stefano Cianfani, responsabile scientifico di Legambiente reagisce rivolgendosi direttamente al ministero dell’Ambiente, sollecitandolo ad instituire urgentemente una task force di esperti per supportare la Commissione Aia, rivelatasi inadeguata al ruolo strategico che le compete, questo al fine di ridurre l’impatto ambientale dei grandi impianti industriali del nostro Paese. Questo primo step deve essere necessariamente accompagnato, continua Cianfani, dall’incremento delle risorse umane, dalla fornitura di mezzi e strutture da assegnare all’Ispra, ente sovrano di controllo degli impianti industriali.
«Legambiente chiede al governo italiano di garantire adeguati finanziamenti per l’attivazione di studi epidemiologici per approfondire gli impatti sanitari derivanti dall’esposizione agli inquinanti emessi dalle lavorazioni industriali». Le Agenzie regionali per la protezione ambientale (Arpa), devono poter svolgere i loro compiti assegnati per legge, devono, in altre termini, essere messe in grado di poter effettivamente eseguire un’attività di controllo per il raggiungimento del fine ultimo che risulta sempre quello di diminuire gli inquinanti e la conseguente esposizione dei cittadini.
Solo un controllo attento da parte degli Enti istituiti a farlo può infatti obbligare l’industria ad investire in ricerca e in rinnovamento tecnologico, operazioni necessarie per ridurre l’impatto ambientale e sostenere una concorrenza sempre più legata al conseguimento della massima sostenibilità ambientale.