Ecco perché un terremoto tira l’altro

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L’effetto triggering, ci dice che se c’è un terremoto in una zona la crosta viene scossa, e se un altro punto è in precario stato d’equilibrio, riceve una sollecitazione

Il 12 gennaio terremoto ad Haiti con circa 220mila vittime. Il 27 febbraio un terremoto in Cile che è risultato il 5° terremoto più forte di sempre ed ha causato lo spostamento dell’asse terrestre di 8-12 cm. L’8 marzo terremoto in Turchia con decine di vittime. Sono solo i più devastanti dei circa 200 che mediamente avvengono in una settimana nel mondo. E, inoltre, un vulcano si «sveglia» in Islanda dopo 200 anni.

Se si chiede ai geologi se questi eventi sono in relazione, decisi, rispondono di no. Un atteggiamento che ricorda quello di qualche anno fa, quando di fronte all’impazzire delle stagioni si chiedeva ai meteorologi cosa stesse succedendo. Immancabilmente la risposta era: tutto nella norma, dai dati storici risulta che tot anni fa ci fu un caso simile. Poi, di fronte alla «periodicità» dei casi definiti eccezionali, pian piano le cose sono cambiate e i meteorologi si sono allineati ai modelli matematici dell’Ipcc.

D’accordo, il ricercatore serio, senza dati attendibili, non può mettersi a dare i numeri. Ma proprio perché la scienza si basa sull’esame dei fatti ed è quindi perennemente work in progress, lasciano un po’ perplessi le affermazioni definitive.

L’arte del dubitare non è una forma di incertezza ma di saggezza scientifica. Se un sisma nel mezzo dell’oceano riesce a scatenare un’onda distruttiva che parte da lontano e giunge là dove non è successo nulla, perché la massa magmatica che è al centro della Terra non dovrebbe avere ripercussioni anche in altri emisferi? Se le forze che si scatenano sono così poderose da spostare l’asse terrestre perché non dovrebbero attivare un vulcano in riposo da anni in un’altra zona del Pianeta?

Per sapere qualcosa di più, non per avere previsioni e certezze, chiediamo a Leonello Serva dell’Ispra, direttore del Dipartimento difesa del suolo del servizio geologico d’Italia, a che punto sono gli studi per mettere in relazione questi fenomeni e se, alla luce degli eventi quotidiani, in quale direzione stanno andando le ultime teorie sul centro della Terra.

Come si concilia la quantità di terremoti che avvengono ogni settimana con l’incertezza che ancora esiste? Perché ci si ostina a dire che non c’è relazione fra i terremoti?

«Esiste l’effetto triggering, cioè se c’è un terremoto in una zona la crosta viene scossa, e se c’era un altro punto in precario stato d’equilibrio, in quel momento riceve una sollecitazione. Questo è un fenomeno conosciuto».

Ed è quello che sta avvenendo nella sequenza di questi ultimi mesi?

«Se si consulta la mappa dei terremoti di questi ultimi mesi, si vede che attorno alla placca del Pacifico ci sono molti terremoti. È chiaro che un terremoto tipo 8,8 della scala Richter, quello avvenuto in Cile, che rompe la crosta per oltre 500 km, non è una cosa da niente tanto che interferisce con l’asse terrestre. Quindi è chiaro che interagisce…».

E come spiega l’eruzione del vulcano in Islanda dopo 200 anni?

«L’Islanda si trova sulla dorsale media atlantica, qua vi sono vari vulcani ed esce il magma per effetto degli spostamenti della placca africana e della placca americana. Qui le placche si allargano, l’America Latina era attaccata all’Africa e le placche si stanno allontanando, divergono i continenti. Nel Pacifico invece c’è convergenza. E tutti i terremoti che mostrano le cartine e che sono a corona delle placche ne sono una prova»

Gli studi dei terremoti aiutano a capire di che cosa è fatto il nucleo terrestre?

«Certo, la ricostruzione dell’interno della crosta è fatta soltanto sull’analisi delle onde dei terremoti».

E di che materiale è fatto?

«Sulla base di come si propagano le onde sismiche si ricostruisce se lo stato è solido o plastico. Ed emerge che c’è una parte plastica su cui galleggiano le placche costituita da silicati ferromagnetici e da qui risalgono le dorsali».

Per le previsioni a che punto siamo sulla base di questi studi?

«Previsioni sul dove può avvenire un terremoto non se ne possono fare ma sicuramente un terremoto come quello del Cile provoca uno sconvolgimento all’interno di tutta la placca pacifica che provocherà a catena tutta una serie di terremoti attorno alla placca».

Il risveglio del vulcano islandese può essere un segnale per il Vesuvio?

«No perché lì ci troviamo di fronte a spostamenti in atto delle placche, qui invece la saldatura della placca alpino-himalayana è già evvenuta. Qui la correlazione è meno certa, e poi bisogna sempre considerare l’effetto clustering, cioè che i fenomeni non sono spaziati nel tempo in maniera regolare ma sono concentrati nel tempo e nello spazio. Quindi non si possono escludere relazioni fra un fenomeno e l’altro. Ad esempio sintomatica è la concentrazione di terremoti avvenuto in Italia dal 1688 al 1783 ci sono stati 14 terremoti forti che hanno investito tutta l’Italia».